17/09/2019

Belgio, un libro lancia l’allarme: l’eutanasia sta diventano un obbligo

Il rischio della legalizzazione dell’eutanasia in Italia è diventato ormai concreto e reale, a causa di quelle continue spinte di natura politica e culturale che hanno in comune un unico folle pensiero: che il vivere e morire siano due opzioni equivalenti, tra cui l’individuo deve poter scegliere.

Ma non c’è bisogno di chissà quali studi per comprendere come la vita e la morte non possano assolutamente essere messe sullo stesso piano, trattandosi di due condizioni esistenziali decisamente opposte. Il rischio, nel compiere una simile e disonesta operazione ideologica è la diffusione di una mentalità che, banalizzando l’esperienza della morte, trasformi il diritto di morire in dovere di morire, soprattutto in determinate circostanze di estrema debolezza.

È quanto testimonia anche un libro scritto da infermieri e medici belgi, dal titolo Euthanasie, l’envers du décor (“Eutanasia, il rovescio della medaglia”) che mette in guardia dal considerare il voler morire una scelta pienamente libera e individuale: il testo si basa su diverse testimonianze, ampiamente sostenute da riferimenti bibliografici e documentali che sembrano offrirci una sorta di sguardo sul terribile futuro che ci attenderebbe se l’eutanasia venisse approvata anche in Italia.

Tanto per incominciare viene riportato che prima dell’approvazione della legge belga sull’eutanasia, nel 2002, molti erano stati i dubbi e gli allarmi lanciati da diversi importanti organi istituzionali, riguardo i rischi di una deriva suicida incontrollabile.

Eric Vermeer, psichiatra e infermiere specializzato in Cure palliative sottolinea, nel libro, con grande chiarezza, che la Commissione che aveva lavorato al progetto di legge sull’eutanasia aveva previsto i forti condizionamenti che subentrano nella scelta di ricorrere al suicidio assistito, nel caso di depressione o sofferenza psichica, tanto da aver indicato, in quest’ultima, l’unica condizione in cui non si poteva avere accesso alla pratica dell’eutanasia stessa.

Il motivo è che un paziente che versa in una condizione di fragilità è spesso condizionato e condizionabile da qualunque circostanza ed eventuale pressione esterna. Dunque esiste il pericolo grave e reale che la richiesta di fare ricorso all’eutanasia, in realtà non rifletta la vera volontà dell’individuo. Eppure, oggi come oggi, il settimo Rapporto di registrazione delle eutanasie, in Belgio, riporta ben 113 casi di persone morte dopo aver fatto ricorso alla “dolce morte”, tormentate da disturbi psichiatrici come depressione, demenza anche ad uno stadio precoce, disturbi bipolari, schizofrenia e altre malattie mentali.

Casi in cui parlare di “autodeterminazione” è davvero difficile, se si pensa anche alle motivazioni economiche che promuovono la spinta politica verso la “dolce morte” e che trasformano il “diritto di morire” in “dovere di morire”, dunque «una sorta di “spinta gentile” che convince i  pazienti che la loro vita vale poco, di sicuro meno di quella dei sani o dei “guaribili”», così come riporta, sempre nel suddetto libro, An Haekens,  psichiatra belga direttrice della clinica Alexianen a Tienen, citando alla lettera le parole di un collega, il dottor Boudewijn Chabot, un militante pro eutanasia della prima ora che riconosce l’inarrestabile deriva di morte verso cui ormai ci si è avviati.

Tutto questo accade perché si fondano certe irreversibili e tragiche scelte sull’illusorio principio di autodeterminazione che riflette un’idea dell’individuo sostanzialmente inesistente: come una monade staccata da qualunque rapporto o tessuto sociale e quindi capace di prendere decisioni senza condizionamento alcuno. Una convinzione folle se si pensa anche solamente alla pressione che può esercitare la società stessa, nel momento in cui, attraverso l’approvazione di determinate leggi, viene diffuso un autentico disprezzo per la vita umana.

In Belgio lo sanno bene ed è il messaggio che ci viene lanciato con questo libro, vera e propria finestra sul futuro: è necessario fare tesoro di certe scelte disastrosamente “pionieristiche” e fare tutto ciò che è in nostro potere, finché siamo ancora in tempo, per fermare questa “marcia della distruzione”, in cui l’unica cosa che rischia di essere negata è proprio il diritto di vivere.

 

di Manuela Antonacci

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