Il 2024 è iniziato all’insegna di una misura significativa e che, nel concreto, va incontro alle esigenze di tante mamme lavoratici. Stiamo parlando, lo si sarà capito, della recente pubblicazione della circolare Inps n. 27 del 31/1/2024, con la quale diventa operativo l’esonero al 100% della quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico delle lavoratrici madri di tre o più figli, con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato; il tutto fino al compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo nel limite di 3.000 euro annui.
Questo atteso sblocco non è misura da poco, dal momento che consentirà alle beneficiarie di avere uno stipendio più alto dal mese appena iniziato, stipendio che sarà composto sia dal rateo sgravio di febbraio sia da quello arretrato di gennaio. Si tratta, come già si diceva, di un provvedimento di rilievo dato che determinerà aumenti in busta paga fino a 250 euro al mese. Non si tratta, va detto, di un provvedimento automatico, bensì di una misura per la quale bisognerà fare domanda. Come? Ci sono più strade.
Le lavoratrici interessate possono infatti rivolgersi ai propri datori di lavoro oppure utilizzare l’apposita funzionalità disponibile sul sito dell’Inps. Fin qui la valutazione economica, per così dire, della misura, che tuttavia merita una considerazione, senza dubbio positiva, anche di tipo politico ed etico. In un Paese a natalità zero o quasi come purtroppo è il nostro, infatti, questo tipo di provvedimento appare condivisibile perché pone in rilievo più aspetti. Il primo è senza dubbio quello delle madri con più figli, alle quali va una forma tangibile di agevolazione che, a ben vedere, è anche se non soprattutto un messaggio culturale in favore della maternità e, in definitiva, della stessa famiglia - e della possibilità di conciliarla meglio con l’esperienza lavorativa.
In seconda battuta, il bonus mamme lavoratrici 2024 ha il pregio di andare incontro a quelle situazioni che, spesso, vedono appunto delle donne in difficoltà per quanto riguarda il sostenere le spese legate alla loro condizione, che spesso non è semplice da vivere, tanto meno nel contesto odierno. Va detto che il sostegno alla natalità non può e non deve passare solo attraverso un sostegno alla dimensione lavorativa; eloquenti, al riguardo, le 35 pagine del report pubblicato dall’Institute for Family Studies a firma di Laurie DeRose and Lyman Stone, emblematico sin da un titolo - More Work, Fewer Babies -, e che mette in guarda, appunto, dal puntare su una sorta di «religione del lavoro» che mal si concilia con la famiglia e quindi con la natalità.
Ma il bonus mamme lavoratrici non è certo un omaggio alla «religione del lavoro», bensì un tentativo di aiutare quelle donne che si trovano, come dice la parola stessa, a dover far convivere impegno professionale e familiare. Una sfida, lo si ripete, spesso non semplice. Non resta quindi che esprimere condivisione rispetto al provvedimento in parola, nella speranza che ad esso ne possano seguire altri. Perché il lavoro da fare, sul fronte del riconoscimento del diritto alla vita del concepito, inteso come uno di noi, e sul fronte della promozione della famiglia, ecco, rimane parecchio.