Abbiamo intervistato e raccolto il commento di Mariella Tarquini, portavoce del Caregiver Familiari comma 255, della quale abbiamo raccontato la storia sulle pagine del nostro sito. Tarquini ha sottolineato la storia dell’associazione e i suoi commenti in particolare sul decreto interministeriale con le nuove linee guida sul PEI/GLO, ovvero il Piano Educativo Individualizzato e il Gruppo di Lavoro Operativo.
Cosa è Caregiver Familiari comma 255 e perché nasce?
«Caregiver Familiari Comma 255 è un gruppo spontaneo nato nel febbraio 2020 dalla volontà di un gruppo di Caregiver familiari con lo scopo di dare piena attuazione al riconoscimento della figura giuridica del Caregiver familiare introdotto nell’ordinamento italiano dall’art. 1, comma 255, della Legge 27 dicembre 2017, n. 205 e per il quale c’è un Disegno di Legge, 1461, depositato in Senato. Caregiver familiari Comma 255 si è consolidato nel periodo di lockdown incontrandosi quotidianamente su zoom per sostenersi, confrontarsi, unirsi. I caregiver familiari sono coloro che accudiscono un congiunto con disabilità, con il quale convivono, che non ha la possibilità o la capacità di individuare ed esprimere le proprie necessità, frustrazioni e desideri, che ha necessità che un’altra persona, il caregiver familiare appunto, organizzi il suo quotidiano e gli fornisca sostegni e i supporti per la propria autodeterminazione. Siamo i traduttori delle loro esigenze, gli interpreti dei loro desideri, siamo genitori, fratelli, coniugi, figli di persone con disabilità a cui con infinito amore, responsabilmente e necessariamente, dedichiamo la nostra vita, accantonando la nostra individualità per i nostri cari. Il nostro è un lavoro invisibile. Non volontario, perché certamente la volontarietà presuppone una scelta, né gratuito, perché il costo che noi paghiamo è fatto di rinunce alle nostre aspirazioni, al risposo, molto spesso al lavoro, alla nostra vita. E spesso, troppo spesso veniamo confusi con i nostri congiunti con disabilità. Ma noi non siamo loro anche se con loro e per loro viviamo».
Quale è, secondo voi, la conseguenza pratica di questo decreto interministeriale con le nuove linee guida sul PEI/GLO?
«Abbiamo apprezzato la corresponsabilità del corpo insegnante che fa intravedere il superamento del binomio alunno con disabilità/insegnante di sostegno; l’uniformità nazionale; l’introduzione del modello bio-psico sociale tuttavia, proprio perché caregiver familiari, sappiamo per esperienza che nulla può essere lasciato all’interpretazione ed alla buona volontà del singolo dirigente e/o comunità educante. Le regole scritte sono tali proprio per intervenire a garanzia di quei casi, fosse anche sporadici e minoritari, in cui la singola realtà non è preparata all’accoglienza di discenti con disabilità e non ha cultura inclusiva. Come caregiver familiari sappiamo bene che il lavoro sinergico improntato sulla specificità di ogni persona disabile, bambino, ragazzo o giovane adulto che sia, si traduce in strategie applicabili a tutti gli ambiti della sua vita di cui la famiglia, il caregiver familiare è il regista. Temiamo il ruolo della famiglia perda la centralità che gli è propria laddove si consideri la vita del discente con disabilità a scuola come comparto a sé stante dal resto del suo vivere. Per questo crediamo che nel GLO la famiglia debba avere un ruolo decisivo e centrale, cosa che ci sembra di non riscontrare nel documento. Ci preoccupano gli “esoneri”, la riduzione di orario, le tabelle ecc, Insomma gli argomenti sarebbero molti e troppi per dirli in due parole. Il nostro comunicato e la nota tecnica che abbiamo elaborato vanno a esplicitare tutte le nostre perplessità.
Quanto è importante che ci sia continuità tra il lavoro che affrontano i vostri figli fuori e dentro la scuola? Quanto è necessario per il loro benessere che i professionisti che li seguono possano trasferire conoscenze e suggerimenti a chi si occupa di loro a scuola?
«Una rete collaborativa fa si che ogni persona con disabilità possa vivere al meglio la propria vita, solo collaborando e facendo ognuno la propria parte con obiettivi comuni si può rendere dignitosa la vita della persona con disabilità. La scelta libera delle figure professionali private è una scelta obbligata per le famiglie stante la situazione di precarietà e carenza del sistema pubblico per i servizi diagnostici e soprattutto riabilitativi. Nel sistema sanitario non è raro essere in lista di attesa per l’accesso ai servizi. Liste che, nel migliore dei casi sono di uno o due anni. Da qui l’obbligo. Determinante debbono essere queste figure che più di chiunque altro conoscono l’alunno fin dalla prima infanzia e che non solo nel GLO avrebbero solo un parere consultivo ma vi debbono partecipare anche gratuitamente. Si tenga poi presente che quand’anche la formazione dei docenti fosse superiore alle 25 ore previste nel decreto, le professionalità sono distinte. Ognuno con la propria competenza ed esperienza. Sono tutte le realtà che circondano l’alunno con disabilità a poter scegliere la meta da raggiungere valutando ogni giorno se tutto ciò che viene attivato è valido o meno per la sua crescita, il raggiungimento delle autonomie, valutando le potenzialità non solo i deficit. Solo così e solo tutte insieme, le figure che interagiscono con il discente con disabilità, costruiscono la strada migliore per supportare e far crescere il loro potenziale».
La possibilità di esonerare i ragazzi più fragili da alcune materie si potrebbe rivelare la più grande discriminazione che lo Stato adopera nei confronti dei più fragili. Puoi dirci qualcosa?
«Per noi Caregiver Familiari che ogni giorno ci confrontiamo con la carenza di personale e personale qualificato l’esonero da materia previsto rischia di diventare la soluzione più plausibile per sopperire a questa carenza per la didattica e l’assistenza educativa ed alla comunicazione. Sarebbe veramente amaro che l’intento quasi visionario dell’Amministrazione, che sembra volgere alla definizione personalizzata del percorso scolastico dell’alunno con disabilità, venisse stravolto dalla realtà con una esclusione dei nostri figli dai percorsi scolastici delle classi comuni. Si ratificherebbe ciò che troppo spesso nelle nostre realtà vediamo già accadere. Pertanto chiediamo che venga ribadito in maniera univoca ed incontrovertibile che il tempo che l’alunno con disabilità dovesse trascorrere fuori dal gruppo classe venga stigmatizzato a favore di una maggior spinta alla massima crescita del discente e nel pieno rispetto dell’inclusione nel gruppo dei pari, risorsa irrinunciabile che le nostre scuole debbono, nella stragrande maggioranza dei casi, ancora imparare a mettere a sistema. Il fallimento della DAD per gli alunni con disabilità nel periodo di pandemia ne è la riprova».