È diventato ormai virale il video in cui Catie Cassidy, una donna americana di 64 anni, malata di cancro ai polmoni e ricoverata in un ospedale del Minnesota, chiede, anzi implora, di poter vivere, dopo aver saputo della decisione dell’ospedale di toglierle l’ossigeno, condannandola a morire per asfissia. Nel video Cassidy dialoga con una dipendente della struttura ospedaliera, senza nome, che le chiede se voglia staccare la spina, ma la paziente, determinata, risponde più volte di no e di voler assolutamente vivere. La soppressione della paziente era infatti prevista per mercoledì scorso.
Un caso di cui si è preso cura il Life Legal Defense Foundation (Lldf) che ha voluto diffondere il video in quanto rappresenta una prova schiacciante dell’atroce violenza che l’ospedale in cui la donna è ricoverata stava per compiere sulla paziente. «Siamo sconvolti che un ospedale prenda in considerazione anche il ritiro dell’ossigeno da una paziente che ha chiaramente comunicato di voler vivere. Quando le è stato chiesto se vuole che le venga tolto l’ossigeno, la risposta di Catie è stata “No! Voglio vivere!” Ritirare l’ossigeno di Catie per causare la sua morte è eutanasia attiva, che è illegale in Minnesota e in ogni altro Stato. Life Legal sta valutando le opzioni legali in questo momento». Questo è quanto hanno raccontato, alcuni giorni fa, i legali della donna a Lifesitenews. E finalmente, oggi, siamo qui a raccontare la piega positiva che ha preso, in questi ultimi giorni, la vicenda: Catie Cassidy sta riposando tranquillamente, secondo la Life Legal Defense Foundation, dopo che l’ospedale ha accettato di attenersi ai suoi desideri e di non rimuoverle l’ossigeno.
Il Fairview Hospital di Edina, dove la donna è ricoverata, sta operando in modo tale da continuare a fornirle l’ossigeno necessario. «L’ospedale ha ricevuto molte chiamate e persino visite da parte di persone preoccupate per il caso», ha detto a LifeSiteNews la direttrice esecutiva di Lldf, Alexandra Snyder. «Grazie mille a tutti quelli che si sono presentati da Catie o hanno parlato con l’ospedale», ha detto Snyder.
Un vicenda significativa che fa riflettere seriamente sui rischi legati all’eutanasia e di conseguenza alla diffusione di una mentalità eutanasica che finisce inevitabilmente per confondere la terapia con la soppressione del paziente e in cui, paradossalmente, la malattia si chiama vita e la morte si chiama cura, che il paziente lo voglia o meno.
Manuela Antonacci