«Consapevole dell'importanza e della solennità dell'atto che compio e dell'impegno che assumo, giuro […] di non compiere mai atti finalizzati a provocare la morte». Recita così il giuramento di Ippocrate, nel testo moderno in uso in Italia dal 2014 per volontà della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.
Eppure sembra tutto inutile, sembra un giuramento strappato e disatteso dalle recenti decisioni proprio della Fnomceo, che in un recente comunicato ha informato che «il Consiglio nazionale ha approvato all’unanimità gli indirizzi applicativi dell’articolo 17. Non sarà punibile dal punto di vista disciplinare, dopo attenta valutazione del singolo caso, il medico che liberamente sceglie di agevolare il suicidio, ove ricorrano le condizioni poste dalla Corte Costituzionale».
Ippocrate, dunque, si piega e si piega alla volontà della decisione della Consulta sul caso Cappato. La stessa Fnomceo, infatti, chiarisce che la presa di posizione arriva per adeguarsi alla «sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, che ha individuato una circoscritta area in cui l’incriminazione per l’aiuto al suicidio non è conforme alla Costituzione».
Una resa, dunque, quella della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, palesata ancora di più dalle parole del suo presidente, Filippo Anelli, che – come riporta Tempi – spiega la scelta della Federazione «di allineare anche la punibilità disciplinare a quella penale in modo da lasciare libertà ai colleghi di agire secondo la legge e la loro coscienza». Un “agire secondo coscienza” che lascia perplessi, soprattutto perché rinnega a tutti gli effetti il giuramento di Ippocrate, come ha sottolineato Massimo Gandolfini, presidente del Family Day. In realtà, nel dettaglio, gli aggiornamenti al codice non obbligano il medico ad agevolare il suicidio, ma affermano che in determinati casi non è punibile disciplinarmente chi lo agevola, il che sembra comunque in contrasto con la frase citata prima del giuramento.
«Con un decisione sconcertante – ha affermato il neurochirurgo – la federazione degli ordini dei medici ha di fatto rinnegato il giuramento di Ippocrate che obbliga il medico a non effettuare mai atti finalizzati a provocare la morte. Come medico – ha ribadito Gandolfini – posso dire che oggi è un giorno tristissimo, si rinnegano migliaia di anni di principi deontologici per adeguarsi ad una cultura mortifera che colpirà i più fragili, che mortificati dall’abbandono terapeutico e dalle esigenze di risparmio richiederanno di farla finita».
Da non dimenticare, inoltre, come ha detto anche Gandolfini, che la sentenza della Corte Costituzionale consente di fatto l’aiuto al suicidio anche nei casi di “sofferenza psicologiche intollerabili”. I medici, anziché tenere testa ai diktat della cultura dello scarto, hanno prestato il fianco proprio alla mentalità eutanasica della società odierna che, come ha concluso Gandolfini, «si traduce nell’eliminazione del più debole».
Della stessa lunghezza d’onda il professor Filippo Boscia, presidente nazionale dei Medici Cattolici, che a Pro Vita & Famiglia aveva rilasciato un’intervista a fine gennaio, a ridosso di un convegno proprio sul tema del fine vita e, tra l’altro, patrocinato proprio dalla Fnomceo. Per Boscia, infatti, nella società attuale ormai «si instaura una nuova equazione, ovvero che un soggetto ha diritto a vivere solo se sano, altrimenti non avrebbe interesse e motivo di vivere». Un’equazione che, però, finisce solo per «tradire l’alleanza tra medico e paziente». Il suicidio assistito è, per la scienza medica, dunque, una vera e propria negazione stessa del ruolo del medico che, secondo Boscia, «viene condivisa dall’odierna società innanzitutto per economia di bilancio, per scarsità di risorse, ma anche perché nell’opinione pubblica si è insinuato il pensiero della vita di qualità».
Ora, dunque, anche la Federazione dei medici italiani sembra voler aprire la strada per sdoganare il suicidio assistito. Una decisione che rischia di sdoganare, a sua volta, la visione sempre più imperante nel mondo attuale secondo la quale la vita è bella e degna di tutela solo se sana e perfetta. Un rischio che la società e soprattutto la medicina non possono correre.
di Jacopo Coghe