Il neo malthusianesimo, diffuso da decenni in Occidente, ci sta mostrando già le sue conseguenze nefaste, in termini di crisi demografica, invecchiamento della popolazione e conseguente crisi economica. Il tutto con la “scusa” si voler salvaguardare il clima e l’ambiente. Obiettivo sacrosanto, quello di prendersi cura del Creato, ma che non può prescindere dal prendersi cura, anche e contestualmente, dell’umanità. Pro Vita & Famiglia ne ha parlato con Francesco Giubilei, giornalista, saggista e fondatore della casa editrice Giubilei-Regnani.
Ascolta "Clima. Ecco perché il neo malthusianesimo è una grande bugia: intervista a Francesco Giubilei" su Spreaker.Cosa pensa della difesa dell’ambiente, portata avanti dal neo malthusianesimo a tutti i costi, anche in contrapposizione con la difesa della vita e della popolazione, nell’ottica di una “felice decrescita demografica?”
«E’ un approccio di carattere ideologico che, ancor prima del tema della natalità, riguarda proprio una visione contraria all’uomo e all’essere umano. Si basa su una visione dell’uomo come nemico della natura, per cui, il cambiamento climatico e gran parte dei problemi ad esso connessi, sono colpa dell’uomo che distrugge e inquina la natura. Sicuramente a volte l’uomo ha dei comportamenti che risultano errati: ad esempio nel tema dell’eccessivo consumo del suolo, nel tema dell’utilizzo nel corso degli anni, di tecnologie che hanno portato avanti l’inquinamento e, sicuramente, nessuno vuole negare questi fatti, però l’uomo dà anche dei contributi importanti, ad esempio, nel mantenimento del territorio. Penso soprattutto al centro e al sud Italia, alle zone appenniniche, dove è in corso uno spopolamento, l’assenza dell’uomo fa sì che non vi sia la cura del territorio e quindi si verifichino sempre più spesso dei fenomeni connessi sempre più alle inondazioni e altro. L’approccio che, invece, bisogna portare avanti, è quello cristiano: nella Bibbia si parla del creato che concepisce l’uomo e la natura come parte di uno stesso grande insieme. Se, invece, si promuove un approccio in cui si concepisce l’uomo come nemico della natura, è chiaro che poi si porta avanti un ambientalismo che sarà di matrice antiumana».
Quindi secondo Lei è possibile tenere insieme la cura del creato e la promozione della vita?
«Assolutamente sì. D’altro canto nelle civiltà tradizionali, come quelle pre - romane, romane e medievali, già le religioni precedenti al cristianesimo consideravano la natura come qualcosa di sacro. Se guardiamo agli dei romani o greci, gran parte di essi erano connessi ad un elemento naturale: c’era il dio del mare, del vento ecc. e lo stesso vale per il cristianesimo che concepisce la natura come qualcosa da conservare perché ci è stata donata, è stata creata da Dio, quindi l’uomo ha il dovere di curarla facendo in modo che le sue esigenze vadano di pari passo con quelle della natura».
Perché invece si afferma il contrario? Quali sono gli interessi in gioco?
«E’ evidente che dietro la tematica ambientale c’è un tentativo di rivedere il nostro stile di vita, le nostre abitudini. Basta guardare al tema dell’alimentazione e al tentativo, anche attraverso l’idea degli insetti sulle nostre tavole, di rivedere la nostra dieta mediterranea, di rivedere il consumo di carne che invece ha sempre fatto parte della vita umana o il vino che fa parte della nostra tradizione culinaria. Sono tutti aspetti che vengono messi in discussione, così come vengono messe in discussione anche altre tematiche, come il passaggio delle automobili dal diesel all’energia elettrica. Sono una serie di tematiche che fanno capire che ci sia la volontà, insieme al tema dell’ambiente, di cambiare il nostro stile di vita. Il problema è che questa è una visione che mette in discussione delle caratteristiche economiche ma anche identitario- tradizionali».
Quali sono, invece, gli effetti benefici della crescita demografica?
«Se il trend rimarrà quello attuale i nodi verranno al pettine tra 10, 20, 30 anni. Tralasciando gli aspetti di carattere etico, ci sono motivazioni di carattere socio-economico. L’intero sistema di welfare si basa sui contributi che versano i lavoratori. Una volta che diminuiscono i lavoratori e aumentano i pensionati, si arriva al punto in cui salta un sistema. E la soluzione non è, come dicono alcuni, quella di aumentare il numero degli immigrati, perché questa è una scelta che, a lungo andare, fa sì che venga meno quello che è un carattere importante della nazionalità: ovvero che vi siano delle persone nate e cresciute in un determinato territorio nazionale e abbiano, quindi, una determinata tradizione, cultura e radici. Quindi non aumentiamo gli immigrati ma i tassi di natalità».