«Condannato per reati sessuali come uomo, criminale non è più considerato minaccia a causa del cambiamento di genere», leggiamo sul Des Moines Register.
Un articolo di LifeSite News ci racconta la storia di Joseph Matthew Smith. Il 23enne sarebbe stato condannato per molestie sessuali ai danni di un suo compagno nel 2014, ma su di lui verte anche l’accusa di aver commesso atti di pedofilia verso 15 bambini, che avevano fra uno e 13 anni di età, un numero per nulla indifferente.
Ebbene, pare che il detenuto sia già prossimo al rilascio, in quanto non costituirebbe più una minaccia per alcuno. Motivo di ciò? Il fatto che avrebbe iniziato a identificarsi come donna e a chiedere di rivolgersi a lui utilizzando i pronomi personali femminili.
Eppure, stando a quanto afferma il dottor Jeffrey Davis, «la probabilità di recidiva entro cinque anni dal rilascio ha superato il 20% perché le vittime erano di entrambi i sessi, e perché Smith aveva meno di 25 anni e non ha mai avuto una relazione a lungo termine». Ma ciò non sembra sia sufficiente a considerare il detenuto ancora potenzialmente pericoloso.
Inoltre, a prescindere dalla prospettiva di rischio di recidive nel futuro, c’è comunque una pena che ancora non è stata scontata fino in fondo e, in assenza di riconoscimento dell’innocenza del detenuto, non v’è motivo di interromperne il corso.
L’articolo racconta, inoltre, di Joseph Gobrick, 45enne accusato di molestie sessuali, che avrebbe giustificato in sede di tribunale la liceità dei propri atti, «perché si identificava come una bambina di otto anni» e di tanti casi in cui detenuti maschi per reati sessuali si sono identificati come donne per essere imprigionati nei carceri femminili, in cui trovare nuove potenziali vittime: un pericolo, questo, da evitare, se si tiene davvero al bene delle donne.
di Luca Scalise