Un vero uomo di “scienza e fede”. Il decano dei farmacologi italiani, nonché fondatore del prestigioso Istituto Mario Negri di Milano si è raccontato ad Avvenire, con un lucidissimo sguardo sul presente e sull’immediato futuro. Silvio Garattini, a 93 anni, sta vedendo scorrere gli sconvolgimenti della pandemia, che più volte ha commentato in modo mai banale negli ultimi ventiquattro mesi.
Garattini è un vero testimone del nostro tempo, dai valori molto saldi: «Se la religione ci introduce al mistero, la scienza crede nelle cose che può osservare e misurare. In molti campi però la finalità diventa la stessa: migliorare il mondo», dichiara al quotidiano della CEI.
L’etica cristiana assimilata fin da bambino si è ripercossa nella sua attività medico-scientifica. «Vedo anche tante cose nel campo della medicina che non vanno», in primo luogo perché, spiega, «la medicina è diventata un grande mercato, e tutti i mercati devono crescere, ma oltre certi livelli vanno contro gli interessi dei pazienti. Il mercato infatti è interessato a medicalizzare tutta la società, e la prevenzione passa in secondo piano».
La competenza e la sensibilità di oncologo spingono Garattini a riflettere sull’enigma della sofferenza. «C’è differenza tra curare, con terapie e farmaci, e prendersi cura: sono aspetti complementari – osserva – il primo non può cancellare il secondo. Invece vedo medici che non lasciano parlare i pazienti perché hanno poco tempo, e non ascoltandoli si perdono una parte della terapia».
Sull’eutanasia e sul suicidio assistito, il professor Garattini ha le idee chiare: «Se siamo in grado di generalizzare la presenza degli hospice la richiesta di morte diventa minima». Lo dice in quanto responsabile di un hospice ma anche in forza della sua esperienza familiare. Sua moglie è morta per un tumore incurabile e, dopo il ricovero in hospice, «mai ha chiesto di morire perché abbiamo trovato grande attenzione». Il punto, quindi, rimarca Garattini è trovare «la volontà di affrontare questa necessità formando personale all’altezza e con le giuste motivazioni». Una volontà che, evidentemente, latita, poiché, «malgrado ci sia la legge 38, non ci sono hospice sufficienti per aiutare tutti quelli che ne hanno bisogno».
Garattini non ha mancato di dire la sua anche sulla cannabis legale. Se, da un lato, «l’efficacia terapeutica di alcune componenti è lontana dall’essere vera», gli «aspetti ricreativi» sono invece decisamente «dannosi per la persona», quindi dovremmo «fare tutto il possibile per evitare questo tipo di uso». Il principale strumento per contrastare la circolazione delle droghe, sostiene Garattini, è «l’educazione». Legalizzare la cannabis sarebbe «un cattivo segnale che diamo ai giovani. Non ha senso che tutti possano coltivarsi le piantine per qualunque uso». Affermare, poi, che «legalizzare serve a sconfiggere la criminalità fa ridere: di droghe ce ne sono tante, se la criminalità non ha più la cannabis fa affari con tutte le altre, ne spuntano di nuove tutti i giorni. La via è l’educazione, non il favoreggiamento», conclude il fondatore dell’Istituto Mario Negri.