L’attuale emergenza sanitaria causata dall’epidemia di Coronavirus ci sta facendo sperimentare un periodo completamente diverso della nostra vita: tutti noi, chiusi in casa, attendiamo notizie circa l’andamento dell’epidemia, chi per lavoro deve uscire di casa fronteggia il pericolo di contrarre il virus, i media ci aggiornano quotidianamente sul numero dei contagiati e dei decessi.
Ma, come ricordavamo, c’è anche «del buono in questo mondo» e merita d’essere raccontato, affinché la comunicazione non assuma i toni demoralizzanti di un univoco annuncio di sconfitta, ma sia dato il giusto valore anche a quelle buone notizie che, malgrado la critica situazione, possano accrescere la speranza. Diversamente, non faremmo altro che diffondere panico, mentre ciò che più serve è alimentare il coraggio.
Insomma, siamo tutti sottoposti a una dura prova, specialmente i malati e i sofferenti. È fondamentale, pertanto, che i più “vulnerabili” vengano accompagnati (nei limiti delle disposizioni di sicurezza) nell’affrontare la sofferenza, che sappiano di non essere soli.
Infatti, come leggiamo su La Nuova Bussola Quotidiana, si iniziano a registrare i primi suicidi (e tentati suicidi) motivati dall’aver contratto il Coronavirus o dalla stessa paura d’averlo contratto. Questo ci mette di fronte al fatto che non è solo il corpo ad aver bisogno di protezione dal contagio del coronavirus, ma anche la nostra stessa vita ad aver bisogno di protezione dal contagio della paura.
«Un’ottima forma di prevenzione sarebbe la cessazione della pressione mediatica che sta causando panico e incertezza, sostituendola con una comunicazione positiva, invitando ad affrontare con serenità e fortezza l’eventuale malattia. […] Occorre dire che dal Coronavirius si guarisce, nella stragrande maggioranza dei casi. Occorre dare un senso al dolore, alla sofferenza, ai lutti, occorre dare le ragioni per le quali non dobbiamo avere paura».
La sofferenza si può vincere quando viene ribadito il valore della Vita di ognuno, anche su un letto d’ospedale, quando nessuno è considerato un “peso”, solo perché improduttivo, quando l’anziano, il malato, il disabile, il depresso non è dimenticato, ma accompagnato dai propri cari (seppur nei limiti attuali della sicurezza).
Ecco allora che la condivisione della sofferenza e delle difficoltà aiuta ad attraversare il tempo del dolore, solidifica i rapporti, genera solidarietà e fa sì che tutti possano sentirsi veramente amati.
di Luca Scalise