«Il dottore del pronto soccorso mi ha detto che probabilmente aveva il virus […]. Mi ha spiegato che la situazione era molto compromessa, che se non volevo vederla morire soffocata nell’arco di 48 ore mi conveniva lasciarla in ospedale dove sarebbe stata accompagnata dolcemente con la morfina. Intubarla era impensabile, troppo anziana, troppo debilitata», leggiamo sul Corriere della Sera.
Così Alessandra racconta dei momenti critici in cui sua madre, Giusy, di 79 anni, ha rischiato la vita a causa del Coronavirus. L’ospedale offriva solo la possibilità di una “dolce” morte, ma Alessandra non si è arresa e ha seguito il consiglio del suo medico di base e dell’epidemiologo Paolo Gulisano di riportarla a casa e sottrarla, così, «a una sentenza di morte che sembrava essere già scritta».
Quest’ultimo spiega: «Le ho prescritto una terapia che non è ancora ufficialmente adottata negli ospedali previo trials clinici e studi in doppio cieco, ma c’era da salvare una vita, e non ho avuto dubbi che occorresse tentare: azitromicina, clorochina, eparina, maltodestrina e naturalmente ossigeno. Pastiglie per bocca, 15 euro di spesa totale. Sono passate due settimane, Giusy sta bene, è in piedi, i parametri sono tutti buoni».
Insomma, la sorte tragica a cui stava andando incontro la signora è stata completamente ribaltata. E questo perché qualcuno non si è arreso alla logica della “dolce” morte. Si sente dire sempre più spesso negli ultimi tempi che gli anziani che hanno contratto il virus andrebbero direttamente lasciati morire. Ma questa non è affatto una morte “dolce”, è, piuttosto, una grave forma di abbandono.
Gulisano si dice, dunque, lieto del buon esito dei suoi sforzi e afferma: «penso che la medicina ha sempre avuto questo compito: puoi guarire spesso, puoi anche assistere al fallimento, ma puoi e devi curare, sempre».
Ogni persona merita che qualcuno lotti per la sua vita e questo è il vero compito di un buon medico.
di Luca Scalise