È assurdo che tanti parlino di continuo di “uguaglianza”, di “lotta alle discriminazioni”, di “decostruire gli stereotipi” e che quegli stessi tacciano di fronte al trattamento disumano che ricevono fin troppi anziani al giorno d’oggi o, addirittura, se ne facciano promotori.
Ecco a voi un bello stereotipo da decostruire, tanto per parlare in un linguaggio “alla moda”: il fatto che una persona sia meglio morta che anziana, con gli acciacchi, inferma, malata, disabile, depressa, ecc… No, pensare questo non è civile, né umano. Proporre loro l’eutanasia, spianargli la strada a farla finita non è civile, né umano.
«I medici svizzeri hanno esortato le persone più vulnerabili alle complicazioni del Covid-19 a registrare in anticipo i propri desideri per le cure di fine vita in modo da aiutare ad alleviare la pressione sulle unità di terapia intensiva», scrive un articolo di Repubblica.
È comprensibile che una persona, in un momento particolarmente critico della sua vita, possa vedere la morte come soluzione; ciò non significa né che questo sia vero, né che quella persona voglia veramente morire, né che vada agevolata a togliersi di mezzo.
Quando un sofferente viene fatto sentire un peso per le persone che ha intorno, quando le cure costano troppo, l’assistenza (anche psicologica) non è adeguatamente accessibile e nessuno si interessa della sua vita, non sarà affatto “libero” di scegliere l’eutanasia: si sentirà obbligato.
Ecco perché è vergognoso stabilire delle categorie a cui estendere l’eutanasia, come se ci fossero persone la cui vita vale meno rispetto ad altre. Ed è ancora più vergognoso proporre a queste persone la strada verso la tomba. Non venisse a parlare di “diritti” e “libertà” chi spinge verso il baratro le persone che soffrono – negando loro, di fatto, la libertà di vivere. Chi è vulnerabile merita che si lotti per loro, per la loro vita e per ridurre o eliminare la loro sofferenza, non che li si tratti come costi inutili una volta che non producono più pil.