Quando si parla di cure palliative si entra in un campo dove regna la neolingua e i cultori della morte (eutanasisti) seminano confusione a piene mani.
C'è chi infatti intende per "cure palliative" o "palliazione terminale" un comportamento teso a sedare profondamente il paziente procurandogli una morte anticipata, o per mezzo dello stesso sedativo somministrato in dosi massicce, o sospendendo nutrizione, idratazione o ventilazione e quindi lasciandolo morire di fame e di sete o soffocato, magari in base a "DAT" (Direttive anticipate di trattamento) emesse tanti anni prima e in tutt'altre condizioni psico-fisiche.
Queste fin qui descritte NON sono cure palliative: è eutanasia, morte procurata di un paziente, consenziente o meno. Quanto al "consenso del consenziente", alla sua "autodeterminazione" è tutto da dimostrare che sia un consenso davvero libero e consapevole. Se il malcapitato è posto davanti all'alternativa tra vivere - magari solo e abbandonato - tra dolori atroci o la morte, chi non sceglierebbe la seconda? E sarebbe una libera scelta o un ricatto?
Chi soffre, finché conserviamo un briciolo di umanità, deve essere curato, trattato, anche se non può essere guarito. Per questo dovrebbero esistere gli hospice e le cure palliative, cioè la cura del dolore somministrata da medici specializzati, in un ambiente in cui ci si prende cura del paziente (e dei familiari, se possibile) anche da un punto di vista psicologico e - perché no? - spirituale.
Nonostante la legge 38/2010 obblighi le strutture sanitarie ad aprire centri di terapia palliativa del dolore, gli hospice o i reparti specializzati sono molto pochi e mal distribuiti sul territorio nazionale (a discapito, come al solito, del Sud).
Le cure palliative dovrebbero essere invece disponibili anche a domicilio, sostenute da tutti gli specialisti necessari: il medico, il terapista del dolore, il palliativista, lo psicologo, l’infermiere, il riabilitatore, con un particolare riguardo alle famiglie che non possono permettersi di lasciare il lavoro per dedicarsi a tempo pieno ai propri cari malati.
Nonostante il fatto che i decreti attuativi della legge 38 siano ormai stati emanati, c'è un enorme problema culturale: la maggior parte dei cittadini non conosce le cure palliative (e le confonde con l'eutanasia, come detto all'inizio); i medici tardano a indirizzare i malati verso di esse.
Solo il 30% dei malati oncologici ha accesso alle suddette cure (e secondo alcune statistiche anche meno), ma i malati non oncologici sono totalmente dimenticati: problemi neurologici, pneumologici, o cardiologici possono esser sollevati dalle cure palliative che, normalmente, si associano al fine vita, quando invece la precocità della presa in carico delle cure palliative, migliora la qualità della vita anche di coloro che non sono affatto in punto di morte. Inoltre ci sono 35.000 bambini, in Italia, col bisogno di cure palliative e solo il 10-15%, forse, vi accede.
Le Regioni non investono sufficientemente sul tema delle cure palliative sia a livello programmatico che finanziario. E del resto è molto più semplice e meno costoso indurre il malato a chiedere di morire.
Invece, dobbiamo ricordare che il dolore è una malattia che si può curare, come dicono David Julius e Ardem Patapoutian, Premi Nobel per la Medicina. Solo che ci vuole un po' di umanità.