«Mai ho pensato di voler morire», afferma Sara Virgilio, che aveva soli vent’anni quando fu investita da un pirata della strada.
Aveva tanta voglia di vivere ma le condizioni in cui è rimasta dopo l’incidente erano tanto gravi che, se avesse in precedenza formulato una Dichiarazione anticipata di trattamento (DAT) volta a chiedere di essere lasciata morire in ogni caso, oggi non sarebbe più tra noi.
Dato che, grazie all’alleanza tra PD e 5 Stelle, stanno approvando il testo ignobile di cui i nostri Lettori sanno bene, invitiamo coloro che ancora fossero in dubbio a leggere la bella testimonianza di Sara che riporta InTerris.
Quella del coma, in cui è rimasta per un mese, è «una condizione non facile da descrivere, – spiega Sara – perché chi la vive sa di essere in coma, vorrebbe comunicare con l’esterno ma non può». I medici non le avevano dato molte speranze per via dell’emorragia cerebrale e polmonare che aveva avuto, ma lei continuava ad avere coraggio e sentiva al suo fianco la presenza della madre che la andava a trovare.
«Volevo uscire da quello stato e far capire agli altri che c’ero, che avevo una dignità e che stavo lottando per svegliarmi», racconta oggi. Era vigile, capiva e sentiva – a tratti – quello che accadeva intorno a lei. Sentiva i medici parlare. E se avessero detto: “Basta, sospendiamo cibo e acqua, non c’è più niente da fare”?
Anche quando finalmente è uscita dallo stato di coma e ha iniziato a fare i conti con i dolori lancinanti che aveva, con la riabilitazione, con la sedia a rotelle (oggi però non solo cammina e lavora, ma fa anche sport), nonostante i momenti bui di depressione, è stata ben contenta di continuare a vivere. E ora, come ha fatto anche al Senato in una conferenza organizzata da ProVita Onlus, ripete col bagaglio della sua dolorosa esperienza le ragioni per cui è contraria.
Nessuno, spiega Sara, può prevedere esattamente come reagirebbe in determinate situazioni; anzi, solitamente «l’istinto è quello di aggrapparsi alla vita con tutte le proprie forze». Gli unici a chiedere di morire sono quelli che si sentono abbandonati. Ma le DAT, una volta firmate, non perdonano e chi non è in condizione di esprimersi potrebbe così essere lasciato morire di fame e di sete.
Convinta che la preziosità di una vita non dipenda dalla sua produttività, Sara denuncia il fatto che leggi come questa non fanno altro che togliere di mezzo delle vite ritenute ormai inutili e gravose sull’economia. Da questo deriva, a suo avviso, la “cultura della morte” e a questo si deve la fretta nel voler approvare la legge sulle DAT.
Il suo appello accorato ci apra gli occhi su quanto questo disegno di legge sulle DAT sia ingannevole e crudele e serva a farci capire che chi approverà una legge simile non lo fa per un atto di carità nei confronti dei pazienti, bensì piuttosto per offrir loro un caldo invito a togliere il disturbo.
Il prossimo 4 marzo, terremo bene a mente il nome e il partito di quelli che stanno per compiere questa scelleratezza.
Redazione
per un’informazione veritiera sulle conseguenze fisiche e psichiche dell’ aborto