Abbiamo raccolto la testimonianza del dottor Tonino Cantelmi, direttore sanitario dell’Istituto Don Guanella di Roma.
Io direi che il mondo della disabilità riguarda un po' tutti noi, ma c'è una disabilità doppia che è quella cognitiva, caratterizzata dai disturbi del neurosviluppo, come l’autismo o quando alcune condizioni interessano tutte quelle aree del cervello facendolo funzionare male, non facendolo funzionare proprio o non facendolo comprendere.
Si tratta di una doppia disabilità perché se si è su una carrozzella e si ha un cervello funziona una persona se la può cavare. Ma se sei su una carrozzella e non hai un cervello che funziona oppure semplicemente non hai un cervello che funziona in modo tipico sarà molto difficile cavarsela se il mondo circostante non ti comprende. Ecco perché il mondo della disabilità è un mondo complesso e oggi necessità di risposte nuove, siccome finora abbiamo fatto tanto, accogliendo, aiutando, sostenendo ma pur sempre ghettizzando. Insomma, in qualche modo siamo buonisti e soprattutto non consentiamo alle persone con autismo, con disabilità intellettiva, cognitiva o difficoltà nel comprendere di sviluppare il vero progetto della loro vita. Siamo noi che diamo progetti a loro e non li ascoltiamo sufficientemente.
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Tanto per fare un esempio, penso alle parrocchie: nulla di più buono, nulla di più bello, nelle parrocchie si accolgono moltissimi gruppi di persone con disabilità cognitiva. Ma sono tutti oggetto delle nostre attenzioni e non protagonisti di se stessi, della loro vita e della pastorale. Ecco questo è un esempio lampante di ghettizzazione. Molte volte, infatti, riguardando la vita di persone con disabilità cognitiva e disturbi del neurosviluppo ci si interroga e si capisce come siano degli scarti, non sono neanche gli ultimi. Gli ultimi, infatti, hanno un posto nella società, queste persone invece non hanno spesso un posto.
La soluzione non è semplicemente dare loro un alloggio, un luogo, delle cure. La vera risposta è dare una buona vita e quindi sviluppare un progetto di vita. Per esempio stiamo immaginando anche a percorsi affettivi, ad una educazione affettivo- sentimentale e dunque la risposta non è la morte.
Parlando di morte per queste persone intendo in particolare la morte precoce con l’aborto, quando per esempio di scopre una diagnosi di disabilità oppure la morte precoce come avviene in alcuni Paesi del Mondo con l’eutanasia, anche infantile e riservata a bambini o altri pazienti con gravi forme di disabilità. La risposta non è la morte, la risposta è la buona vita e la consapevolezza che tutti debbano essere felici. Una parte di felicità appartiene anche a loro e questo dipende molto da noi, da come siamo capaci di accogliere ma soprattutto rinunciando a tutte le forme di buonismo. Dobbiamo, insomma, accogliere autenticamente ogni persona, dimostrando che non ci sono vite di scarto, cioè vite che vanno scartate, e persino uccise ma sono tutte le vite degne di essere vissute.
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All’Istituto don Guanella, dove siamo accogliendo, ci siamo aperti proprio all’accoglienza dei gravissimi ed è un’esperienza bellissima vedere come nel tempo queste persone imparano a mangiare con gli altri, imparano a scambiare degli sguardi, imparano persino a sorridere e a esprimere qualcosa di se stessi. La sorpresa è anche negli occhi degli operatori, i primi ad essere felici quando pian piano le cose iniziano ad ingranare. Possiamo dire, infatti, che il tasso di felicità degli operatori dimostra che la buona vita è possibile per tutti.
Se andiamo a guardare i media, la narrazione che si fa della disabilità cognitiva, dell’autismo, troviamo molte contraddizioni: da un lato esaltazioni di alcune esperienze molto belle e interessanti, ma poi esiste un mondo sommerso totalmente sconosciuto. Faccio un altro esempio: non si parla adeguatamente di quelli che sono considerati i gravissimi, che sono purtroppo numerosi. Si tratta di persone che hanno un disturbo del neurosviluppo, una forma di autismo, una disabilità cognitiva, intellettiva o una gravissima psicopatologia, sono incontenibili, dirompenti ,chiusi nelle loro stanze dove distruggono tutto. I genitori interrompono le proprie carriere, si alternano, le famiglie si spezzano, sepolti nelle case. Si tratta di migliaia di persone gravissime ignorate. Per queste persone non abbiamo bisogno di chiacchiere, abbiamo bisogno di soldi. Abbiamo bisogno di investimenti, abbiamo bisogno di una sanità e anche di un servizio sociale che si pieghino a questa situazione, che vadano a vedere cosa succede e cosa serve e che diano risposte.
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