Di male in peggio. Da quanto è dato capire, anzi da quanto è chiaramente emerso da una pubblicazione dell’Espresso – testata non certo sospettabile di simpatie conservatrici -, i dettagli del disegno di legge contro l’omotransfobia sono ancora più terrificanti di quanto si potesse fin qui immaginare. Infatti la nuova normativa non si limiterebbe a prevedere, per chi si rendesse responsabile di aggressioni o gesti riconducibili alla fumosa fattispecie dell’omotransfobia, anni di carcere, risarcimenti astronomici e lavori gratuiti per associazioni arcobaleno, no.
Se la nuova normativa passasse, ai condannati per omotransfobia sarà revocata la patente, sarà revocato il passaporto e pure ogni altro documento valido per l'espatrio; sarà tolta la licenza di caccia e dopo la galera dovrà osservare il coprifuoco rientrando a casa al tramonto. Proprio così: il testo del ddl che la maggioranza di governo vorrebbe portare casa recita che «il giudice può disporre l’obbligo di rientrare nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora entro un’ora determinata e di non uscirne prima di altra ora prefissata, per un periodo non superiore ad un anno».
Ora, non occorre evidentemente essere fini giuristi né ferventi cattolici per comprendere come siffatte siano misure repressive oltre ogni limite, soprattutto - è il caso di ripeterlo - alla luce del fatto che non esiste né in ambito giurisprudenziale né in ambito medico o sociologico una definizione condivisa di che cosa sia l’omotransfobia, a beneficio di un’arbitrarietà da parte della magistratura che può potenzialmente condurre a esiti drammatici per chiunque abbia a cuore quel fondamentale principio democratico che è la libertà di espressione.
Esagerazioni? Non si direbbe. Basta guardare ai precedenti internazionali sugli effetti di norme simili, precedenti che vanno dai pasticcieri irlandesi condannati nel 2015 per essersi rifiutati di preparare all’attivista Gareth Lee una torta con slogan pro nozze gay, al caso di Tomasz K., dipendente Ikea polacco licenziato lo scorso anno per essersi opposto con motivazioni religiose all’appoggio della sua azienda alla Giornata mondiale contro l’omofobia. Tutto ciò dimostra come la legislazione arcobaleno degli effetti sulla libertà personale li abbia eccome. E sono nefasti.
Tanto più che – altro aspetto che merita d’essere sottolineato – che l’Italia non è un Paese omofobo. Lo dimostra anzitutto la sua storia - da noi la condotta omosessuale venne depenalizzata nel lontano 1886, assai prima che nell’anglicana Gran Bretagna (1967), nella Germania comunista (1968), nella luterana Norvegia (1972) e in Israele (1988) -, e lo provano anche i più recenti dati dell’Oscad, l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, secondo i quali dal 2018 al 2019 le aggressioni fisiche legate all’orientamento sessuale e all’orientamento di genere, in Italia, sono calate drasticamente, passando da 43 a 29.
Dunque quale può essere il bisogno di una iniziativa legislativa contro l’omofobia come quella che il deputato Alessandro Zan ed altri intendono far approvare, con previsioni di pene assai dure, dal carcere all’obbligo, per i condannati reduci dalla detenzione, di osservare il coprifuoco rientrando a casa al tramonto?
A questo punto, la spiegazione plausibile può essere soltanto una: con questa legge si vuole introdurre - al di là delle già ricordate previsioni penali - un clima intimidatorio. Verso chi? Verso chi ritiene che l’umanità sia divisa in maschi e femmine e che i bambini abbiano diritto ad un padre ed una madre. Idee di elementare buon senso che, questo è il punto, si vogliono mettere fuorilegge in nome di un progetto legislativo privo di giustificazioni e razionalità, che è bene fermare in Parlamento prima che sia troppo tardi.