Neanche un anno fa, l’amministrazione Trump aveva smesso di finanziare il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA), poiché «pare si sia alquanto prodigato per diffondere contraccezione e aborto a più non posso, specie nei Paesi più poveri, in cambio di aiuti umanitari».
Ora, Trump comunica l’uscita dall’OMS degli Stati Uniti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità sarebbe stata, infatti, accusata dal presidente americano di aver mal gestito l’emergenza sanitaria della pandemia di Coronavirus, come leggiamo in un articolo di Life News.
«"Le scelte e i diritti delle donne all'assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva dovrebbero essere rispettati indipendentemente dall'emergenza di COVID-19, compreso l'accesso alla contraccezione e all'aborto sicuro nella misura massima consentita della legge", si legge nel manuale dell'OMS», come riporta un altro articolo di Life News.
Per questo, il presidente Trump aveva già deciso di indirizzare ad altre organizzazioni i fondi per combattere il Coronavirus destinati all’OMS. Era bene, infatti, impiegare le risorse nella lotta al Covid19, piuttosto che nell’eliminazione di bambini innocenti con rischi alla salute per le donne che vi fanno ricorso.
Oggi, la scelta di Trump è una chiara e rinnovata presa di posizione per la difesa della vita nascente. L’aborto, infatti, non dovrebbe essere considerato “assistenza sanitaria”. Se lo fosse, curerebbe qualcuno.
Invece, come spiegava la dottoressa Christina Francis, presidente dell'American Association of Pro-Life Obstetricians & Gynecologists: «Gli aborti uccidono i nascituri e spesso danneggiano le madri. […] Le complicazioni comuni dell'aborto includono infezioni, coaguli di sangue, emorragia e un aborto incompleto. I rischi di aborto includono future nascite pretermine, cancro al seno, suicidio, ansia/depressione e morte. E non è vero che gli aborti sono più sicuri del parto».
Ogni vita umana merita d’essere tutelata dal concepimento alla morte naturale, solo una sanità che agisce in tal senso, e non nell’opposto, può ritenersi degna d’essere chiamata così.