Qui una risposta all’articolo favorevole alla donazione organi che abbiamo pubblicato qui.
Il medico che scrive ora solleva molte perplessità sulla dichiarazione di “morte a cuore battente”.
Ripetiamo che il problema non è quello della donazione organi – di per sé. Il problema è quello della “diagnosi” di morte, qualora il cuore ancora batta.
Ripetiamo anche che, partendo dall’assunto che siamo contrari radicalmente ed eticamente sia all’eutanasia che al suicidio assistito, questa Redazione è convinta che è lecito prelevare organi vitali per il trapianto solo se si ha la certezza morale che il donatore sia realmente morto.
Ma lasciamo ancora la parola ai medici, ai tecnici, al dibattito dal punto di vista scientifico.
Qui scrive il dottor Giulio Murero. Tra le sue pubblicazioni c’è “Donare gli organi? Le cose da sapere per tempo” (Kailash Edizioni Trieste), che ha scritto insieme a Walter Pansini.
Per rispondere adeguatamente a tutto l’articolo del dottor Cossolini, occorrerebbe leggere tutto il libro che è stato citato qui sopra.
Mi pare che il dottore riporti alcune parti della legge con numerose inesattezze ed omissioni. E in questo modo non produce chiarezza.
Mi soffermo solo su alcuni problemi.
1) Nella legge italiana c’è la novità di voler definire qualcosa che prima non veniva mai definita, ma solo constatata: lo stato di morte appunto. E per constatare lo stato di morte dovevano esserci dei segni tipo arresto cardiaco, stato di rigidità, evidenti alterazioni degenerative, ecc. e inoltre il tutto doveva durare da almeno 48 ore.
E’ chiaro che in queste condizioni (di morte reale) nessun organo nobile può essere fruttuosamente prelevato, solo le cornee e alcuni tessuti, da cui l’esigenza di dare appunto una definizione di morte che permettesse l’espianto: detto in termini giuridici, visto che non è consentita l’uccisione di una persona, nemmeno per finalità terapeutiche, allora la si definisce morta, anche se il cuore funziona, il sangue circola, le donne in gravidanza la portano a termine e via dicendo.
Una volta definita la “morte cerebrale”, si ridefinisce tutto il resto. Il medico fa l’esempio dell’arresto cardiaco: ciò significa che se il cuore si ferma, anche il cervello si ferma (come tutti gli altri organi), ma al legislatore interessa il cervello perché per morte ora si intende non più la morte della persona ma la morte del cervello, o più precisamente di una sua particolare struttura il Tronco Cerebrale.
2) Passiamo ad un altro punto, forse più importante.
Riporto qui le frasi del precedente articolo.
– la causa del danno cerebrale deve essere dovuta ad una malattia organica nota ed irreversibile
– assenza di qualunque attività elettrica cerebrale rilevata dall’elettroencefalogramma (EEG piatto)
– assenza di tutti i riflessi che partono direttamente dal cervello, di respiro spontaneo e di reazione agli stimoli dolorifici
– assenza del flusso cerebrale ematico in tutti i casi previsti dalla legge
Lo stato di morte cerebrale viene identificato da un medico rianimatore ed accertato da un collegio di tre medici: un anestesista-rianimatore, un neurologo, un medico legale. Il collegio medico verifica e certifica il perdurare delle condizioni che hanno determinato la morte per un periodo a 6 ore.
Non è vero che la legislazione italiana preveda una diagnosi specifica che abbia condotto al danno cerebrale (come invece lo prevede la legislazione statunitense)
L’ECG piatto non ha alcun valore diagnostico-prognostico (tant’è vero che è stato abbandonato nella legislazione degli Stati Uniti), soprattutto se condotto non in modo continuativo: la legislazione italiana prevede solo due o tre accertamenti a distanza ciascuno di sei ore. Ha però un impatto (falso) emotivo sull’opinione pubblica e credo che sia stato mantenuto nella legislazione italiana unicamente per questo.
La legge recita che devono cessare TUTTE le funzioni cerebrali e questo è evidentemente un falso, perché ne vengono rilevate solo alcune: determinati riflessi dei nervi encefalici appunto.
Non è vero che la legge italiana preveda la misurazione del flusso cerebrale: questo viene effettuato solo su richiesta.
3) Il fatto che i medici accertatori siano tutti e tre dipendenti della struttura sanitaria non è una garanzia di obiettività, ma casomai il contrario. E’ vero che per l’utenza il trapianto è gratuito, ma l’azienda guadagna sugli espianti/trapianti, mentre mantenere una persona in rianimazione rappresenta una passività economica.
4) Il fatto che Papa Giovanni Paolo II abbia espresso la legittimità e la positività della donazione di organi dopo la morte non è una giustificazione del criterio di morte stessa e all’interno della Chiesa (e nel Catechismo) viene chiarito che mai il fine potrà giustificare i mezzi e solo se vi è certezza della morte si potrà utilizzare singole parti del corpo se queste possano servire per il bene di qualcun altro (per esempio le cornee).
Giovanni Paolo II al famoso congresso citato dal collega è andato un po’ più in là delegando al collegio dei medici la facoltà di stabilire se la persona da espiantare sia con certezza realmente morta, ma comunque il dibattito all’interno della Chiesa è apertissimo.
Personalmente sono convinto che la persona in cosiddetta morte cerebrale non sia affatto morta, ma non su base mistica, bensì scientifica e credo che nel mio libro di averlo dimostrato.
5) Per finire, qualcuno sa come viene condotto l’accertamento dal collegio degli accertatori della morte cerebrale? In contemporanea con l’equipe degli espiantatori che fanno prelievi per stabilire l’istocompatibilità del ricevente, che magari si trova in sala d’aspetto dell’ospedale con i parenti.
Tutti questi personaggi di solito “tifano” tutti in una determinata direzione. Se anche ci fosse un medico accertatore tra i tre del collegio che richiedesse più tempo e/o maggiori strumenti di indagine, è comprensibile che sarà quantomeno sottoposto a pressioni. E se poi nel frattempo la persona muore veramente? Pensate che tutti gli altri starebbero zitti in rispetto del collega? La carriera di quest’ultimo avrà lo stesso andamento di prima?
Giulio Murero