Le pioniere del femminismo in America, le prime donne a battersi per l’emancipazione femminile, non consideravano affatto l’aborto come un diritto né come una conquista necessaria all’emancipazione.
Il 5 febbraio 1868, su The Revolution , la Elisabeth Candy Stanton (nella foto qui a sinistra) si riferiva all ‘“assassinio di bambini, prima o dopo la nascita” come un “male, sempre”.
Elizabeth Blackwell, la prima delle donne medico degli Stati Uniti, si è sempre schierata
contro l’aborto: una “grossolana perversione”. Tanto da auspicare che mai si chiamassero con l’onorevole termine di “medico” quelle donne che facevano abortire altre donne: il “totale degrado” di ciò che potrebbe e dovrebbe diventare una professione nobile per le donne.
Un’altra femminista ante litteram, Susan B. Anthony, già scriveva lucidamente che l’aborto era un sistema per deresponsabilizzare gli uomini e la società rispetto a un problema – la gravidanza indesiderata – che veniva quindi a gravare tutto sulle spalle dellelle donne: e poi sono le donne che in definitiva commettono il gesto: «Sarà un peso sulla loro coscienza per tutta la vita: quando invece è tre volte più colpevole lui, che l’ha spinta alla disperazione, che l’ha spinta al crimine!»
L’aborto libero è nell’interesse degli uomini, non delle donne
E infatti, l’aborto è diventato il centro delle rivendicazioni femministe solo molto più tardi, quando degli uomini – sostenitori della rivoluzione sessuale – hanno cominciato a fare propaganda alla contraccezione e all’aborto: per “liberare” le donne, o per liberare dalla responsabilità gli uomini che aspiravano a una vita sessuale promiscua e spensierata?
La giornalista Sue Ellen Browder, in un saggio intitolato Subverted sottolinea come Lawrence Lader e Bernard Nathanson abbiano fondato il NARAL, ma senza il coinvolgimento del movimento femminista non avrebbero potuto ottenere niente. Dopo anni di tentativi, Lader ha convinto Betty Friedan a includere l’aborto nella sua piattaforma politica, nonostante il fatto che Friedan fosse inizialmente contraria all’aborto. E come convinse la Friedan che le donne avevano bisogno dell’aborto per essere veramente libere? Lo fece esagerando grossolanamente il numero di donne che abortivano clandestinamente e il numero di quelle che morivano per aborto clandestino.
A poco a poco , le donne si convinsero che erano i figli a impedir loro di raggiungere l’uguaglianza. Alle donne viene insegnato che la maternità non consente il raggiungimento di altri obiettivi, sogni o realizzazioni: se le donne volevano essere uguali agli uomini, dovevano negare la fondamentale e bella differenza biologica tra i due sessi. Dovevano rifiutare la vita ai loro figli.
Oggi, oltre il 70% delle donne che abortiscono dichiara di averlo fatto perché sotto pressione. La pressione arriva da fidanzati o mariti che minacciano di lasciarle, la pressione arriva da genitori che minacciano di cacciarle di casa, pressioni arrivano dalla società che le convincono che un figlio è un male: pressioni che riducono le donne alla solitudine interiore e alla disperazione.
L’aborto non significa uguaglianza. Non è sinonimo di libertà. L’aborto è oppressione. Donne come la Stanton, la Blackwell e la Anthony l’avevano capito già alla fine dell’ 800.
Le Donne della Redazione
Fonte: Live Action