29/07/2019

Dopo il cocomero un altro esempio choc di come abortire. Stavolta con la papaya

Non è passato molto tempo da quando un gruppo pro aborto ha organizzato a Filadelfia «una pubblica dimostrazione di quanto sia facile l’aborto», svuotando con un aspiratore un cocomero (che starebbe a simboleggiare l’utero femminile).

Rappresentazione, questa, estremamente vile, volta a normalizzare e banalizzare una pratica che, oltre a togliere la vita ad un bambino innocente, getta una donna in preda ai traumi post aborto. Purtroppo, però, l’esempio sta cominciando a dilagare. E adesso è la volta della papaya, come racconta un articolo di Life News. La scrittrice della rubrica Vice, Marie Solis, ha descritto un workshop a cui ha partecipato ed in cui un’attivista pro aborto di nome Thill, per giunta alla trentottesima settimana di gravidanza, mostrava la simulazione di un aborto usando una papaya per rappresentare l’utero materno.

L’abortista avrebbe anche affermato: «È ancora più soddisfacente quando si tratta di un vero aborto». Poi, pare non si sia fatta problemi a palesare il suo intento: «Più posso ridurre al minimo il modo in cui pensiamo a questa procedura come una procedura “;pericolosa”, più persone avranno migliori esperienze di aborto».

L’attivista con questa frase ha confermato quello che noi pro life diciamo da sempre: cioè che se gli abortisti vogliono indurre le donne a non considerare l’aborto come pericoloso, semplicemente le vogliono ingannare. Pensiamo alle donne che sono andate incontro ad emorragie, infezioni, perforazione uterina, infertilità, cancro al seno o altre patologie, proprio a causa del cosiddetto aborto “sicuro e legale”. Pensiamo alle donne (e non dimentichiamole) morte a causa dell’aborto volontario.

Spingere le donne ad abortire è per il loro bene, forse? È “soddisfacente” come dichiarava l’attivista? È impossibile associare questa espressione all’aborto, specie se si pensa a quelle donne a cui non è stata data altra possibilità, o a quelle che ora ne soffrono i traumi. O se si pensa a quei bambini che non avevano fatto nulla di male. Ma sono morti.

Luca Scalise

 

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