Una volta spalancate, le porte dell’eutanasia di Stato non solo non si richiudono, ma tendono a spalancarsi fatalmente sempre di più. Si tratta della lezione giunta ormai da vari Paesi – Olanda, Belgio, Canada – e che, purtroppo, sta negli ultimi tempi trovando un ulteriore riscontro in Spagna. Già, perché alla penisola iberica sono bastati pochi mesi dall’introduzione della morte on demand – disponibile dalla fine di giugno 2021 – per iniziare a registrare un forte aumento di richieste in tal senso.
Gli ultimi dati forniti dalle regioni, del resto, sono chiari. Si parla già di 50 casi di eutanasia, a fronte di 130 richieste. Nella maggior parte dei casi, a richiedere d’essere uccise sono state persone affette da malattie neurodegenerative o oncologiche; la maggior parte di esse ha scelto di morire a casa. Si tratta di soggetti con un’età compresa tra i 45 e gli 89 anni, per la maggior parte di sesso maschile. Arranca purtroppo l’obiezione di coscienza tra il personale sanitario.
Se si prende la situazione dei Paesi Baschi, infatti, si vede come appena il 2% degli operatori sanitari ha dichiarato di rifiutare l'eutanasia a causa dell'obiezione di coscienza. Questo, unitamente al fatto che si sta parlando solo dei primi mesi dell’applicazione della legislazione eutanasica, lascia immaginare che nei prossimi mesi le morti medicalmente assistite, in Spagna – che è il settimo Paese al mondo ad averle introdotte – non potranno che aumentare. L’esperienza internazionale, in proposito, è del resto chiara.
E in Italia? Cosa accadrebbe se passasse l’eutanasia legale o il Parlamento approvasse una legge sul suicidio assistito? Nessuno ha la sfera di cristallo, ovviamente. Però delle stime possono essere effettuate. Appare credibile, al riguardo, la previsione fatta poco tempo fa da Assuntina Morresi, docente universitaria e componente del Comitato nazionale di bioetica, la quale – basandosi sui dati olandesi - ha stimato che l’Italia rischia, se apre alla “dolce morte”, 30.000 morti all’anno, oltre 80 al giorno.
Tra l’altro, vale la pena evidenziare come l’eutanasia legale non determina solo, si fa per dire, un aumento dei casi di morti on demand. L’introduzione del discutibilissimo diritto ad essere uccisi, infatti, pare generi un clima di morte duro da arginare, e che rischia di portare all’aumento pure degli stessi suicidi. Ne è convinto Theo Boer, bioeticista docente presso l’Università di Groningen, secondo cui in Olanda legalizzare l’eutanasia «non solo ha portato a più morti assistite, ma potrebbe anche essere una delle cause dell’aumento del numero di suicidi».
La spiegazione di quest’ultimo fenomeno è la medesima di quello dell’aumento delle morti su richiesta: il contagio sociale, ovvero un processo di imitazione purtroppo concreto. Dobbiamo molto, a questo proposito, ai lavori del sociologo David. P. Phillips, il quale, in una delle sue ricerche, ha analizzato le statistiche dei suicidi negli Stati Uniti dal 1947 al 1968 mettendole in relazione a quanto apparso sulla carta stampata, in particolare sulle copertine del New York Times. Così facendo, Phillips ha registrato come nei due mesi successivi alla notizia di un suicidio clamoroso, mediamente, si siano registrati 58 casi di suicidio in più.
Questo spiega, o quanto meno lascia intuire, come mai i casi di eutanasia tendano ad aumentare e come possano essere seguiti pure da aumenti di suicidi: la morte chiama morte. Senza dimenticare il portato culturale che l’eutanasia di Stato si porta con sé, ovvero lo stigma su malati e anziani, la marginalizzazione delle cure palliative, la riduzione del medico da guardiano della salute a burocrate esecutore di ordini altrui. Come Italia, faremmo insomma bene a pensarci attentamente, prima di imboccare la strada eutanasica. Ora anche l’esempio spagnolo, infatti, si sta delineando ai nostri occhi come un drammatico ammonimento su una cosa: quello che è meglio non fare.