In tema di eutanasia, sembra non esserci davvero mai fine al peggio e, quando si crede di aver raggiunto il colmo, ecco qualche notizia che fa “cadere le braccia” più della precedente. «Dopo 11 anni di servizio, il 25 febbraio l’Irene Thomas Hospice, che fornisce cure palliative ai malati più gravi in Canada, sarà costretto a chiudere e a licenziare i suoi dipendenti perché non vuole uccidere i suoi pazienti con l’eutanasia», leggiamo in un articolo di Tempi.
Proviamo a riflettere: ci sono persone che avevano il grande desiderio di curare e salvare vite, che sono diventate medici per questo e che per questo perdono il lavoro. Ci sono famiglie che si potrebbero trovare in gravi situazioni economiche perché uno dei loro membri ha deciso – udite, udite – di non uccidere.
Insomma, che situazioni del genere si verifichino al giorno d’oggi è a dir poco una assoluta vergogna e questo dimostra ancor più che le leggi sull’eutanasia non garantiscono affatto, ma, al contrario, ammazzano definitivamente la libertà.
Uccidono la libertà dei sofferenti, perché a loro – già vulnerabili – offrono la morte su piatto d’argento, di conseguenza spingendoli a “scegliere” essa, specie quando le alternative sono rese inaccessibili (si pensi ai costi di tante cure). E uccidono la libertà dei medici, che al rifiutarsi di collaborare con l’assassinio di sofferenti vengono accusati di negare a questi un diritto, il presunto diritto ad essere uccisi.
Il «governo ha optato per […] l’istanza di chiusura ed esproprio della struttura». Così, l’Irene Thomas Hospice, che era rimasta l’unica struttura a curare gli esseri umani senza ucciderli, viene chiusa, mentre nella stessa provincia esistono «rifugi per animali “no kill”, dove è vietato ucciderli». Evidentemente, si ha più pietà per gli animali che per gli umani.