Famiglia, vita e tutela della libertà educativa sono tra i punti fondamentali dell’impegno politico di Chiara Valcepina, candidata alle elezioni regionali in Lombardia con il partito di Fratelli d'Italia. E' stata inoltre tra i candidati di questa tornata elettorale ad aver firmato il manifesto valoriale di Pro Vita & Famiglia sull'impegno a tutelare la vita, la famiglia e la libertà educativa. Pro Vita & Famiglia l'ha intervistata
In Italia imperversa un drammatico declino demografico. Ritiene giusto dover tutelare socialmente la maternità e la paternità e proteggere la vita nascente dalle istanze pro-aborto?
«Certamente. Dopo decenni di retorica sul “sovrappopolamento”, l’Europa e l’Italia si sono trovate nel pieno dell’inverno demografico. Il problema, per chi ha il coraggio di vederlo e di parlarne, non è soltanto culturale e “pro-life” ma anche e soprattutto di natura economica e sociale. Una civiltà che ha più morti che nascite è destinata all’estinzione. E anche il ritornello del “più aborto per tutte” ha fallito: intanto, perché chi lo promuove spesso finisce per parlarne come di una cosa banale ed immediata, senza pensare alle conseguenze psicologiche e fisiche che ogni donna che si trova a dover abortire deve affrontare. E poi perché rinunciare al dibattito sul tema significa rinunciare a credere in un’Italia in cui una donna sia innanzitutto libera di scegliere di non abortire, e non costretta a farlo per ragioni economiche».
L’altro fronte della tutela della Vita è quello legato all’eutanasia. Quali sono, secondo Lei, le priorità in tema di cura e rispetto della dignità umana, applicazione delle leggi palliative (legge 38/2010) e obiezione di coscienza per i medici e il personale medico?
«Prima di tutto, bisogna pensare a tutelare sempre la vita. Entrare nel terreno dell’eutanasia con la facilità con cui si muovono gli alfieri del “diritto alla morte” porta sul piano culturale a costruire un confine tra vite di Serie A e vite di Serie B, e questo è pericolosissimo sul piano culturale al di là delle scelte personali di ciascuno. Non esistono vite “non degne di essere vissute”. Né tantomeno possiamo permetterci di fare la fine di certi Paesi europei in cui è lo Stato a porre fine alla tua vita anche per leggeri casi di depressione, ad esempio. È un modello culturale sbagliato. Con la Legge di Bilancio è passato un importante emendamento che rafforza le cure palliative. È più importante investire su queste, più che su leggi che favoriscono la cultura del fine vita».
Cosa dovrebbero fare – in particolare la sua Regione - in tema di politiche familiari per favorire la formazione di nuove famiglie fondate sul matrimonio e, di pari passo, contrastare tutte quelle istanze contrarie al concetto stesso di famiglia come l’adozione per coppie dello stesso sesso o l’utero in affitto?
«Il campo d’applicazione delle competenze di una Regione è ristretto ma non inesistente. Soprattutto, si deve investire sulla comunicazione e sulla promozione culturale del valore della famiglia naturale. Per quanto riguarda la formazione di nuove famiglie, è poi naturalmente necessario che la Regione metta in campo tutti gli strumenti economici e lavori di concerto con il Governo nazionale per sostenere i giovani che vorrebbero sposarsi e fare figli ma non possono permetterselo: penso agli asili nido gratuito, a degli sgravi fiscali per le giovani madri, a dei bonus per l’acquisto di prodotti destinati all’infanzia».
Uno dei diritti inviolabili delle famiglie è quello alla libertà educativa. Ritiene giusto contrastare qualsiasi forma di strumentalizzazione ideologica della scuola, in particolare per quanto riguardo la “propaganda gender”?
«Quello della libertà educativa è un tema che mi sta particolarmente a cuore e che già nel mio attuale mandato da consigliere comunale a Milano sto portando avanti, potendo vantare dalla mia parte l’amicizia fortissima che mi lega al sottosegretario all’istruzione Paola Frassinetti. La prima cosa da garantire quando si parla di scuola è il diritto all’infanzia, che va di pari passo con il diritto all’innocenza: bombardare un bambino di continui riferimenti a gender, fluidità e cose simili significa sottrargli la serenità che dovrebbe essere tipica di quell’età. Sono questioni che devono restare fuori dalle classi, dove troppo spesso vengono trattate in maniera ideologica, e rimanere nell’ambito dell’educazione familiare. È importante che la Regione vada avanti e rafforzi il sistema di doti, bonus e di incentivi economici che consentono di rendere effettiva la libertà educativa e la scelta dell’istituto, indipendentemente dalle proprie capacità economiche».
Si è parlato, prima, di fine vita. Alcune istanze eutanasiche vorrebbero far rientrare in ciò perfino i più anziani, considerati come non più produttivi e utili alla società. Una vera e propria forma di “cultura dello scarto”. Come vanno, invece, tutelati e accompagnati i nostri anziani?
«È proprio quello a cui accennavo prima: la “società della morte” punta a dividere tra vite “valide” e vite “non valide”, facendo rientrare tra quest’ultime anche le vite di chi non produce più. Una stortura rispetto alla millenaria tradizione occidentale, in cui l’anziano è portatore di una saggezza e di un’esperienza che rappresentano la vera ricchezza per le nuove generazioni. La politica deve occuparsene, valorizzando gli anziani e consentendogli una vita dignitosa tanto sul piano economico quanto su quello sanitario. Scene come quelle di un paio di anni fa, con anziani costretti a morire lontani dai propri affetti per le estreme restrizioni legate al covid, non devono ripetersi mai più. E’ proprio del 19 gennaio l’approvazione, in Consiglio dei Ministri, del decreto anziani che rafforza la figura dell’anziano e del soggetto fragile per non emarginarlo e quindi rafforza, tra le altre cose, housing sociali, cure palliative e assistenza domiciliare. Il Governo Meloni, con questa approvazione, ha chiarito sin da subito quanto per noi siano prioritari certi temi a differenza di chi crede nella cultura della morte».
Infine, tra i drammi che mettono a repentaglio il sano sviluppo dei nostri giovani, ci sono le dipendenze. Dall’uso di sostanze stupefacenti fino all’ipersessualizzazione dei minori in Rete. Quali sono le politiche da adottare per arginare queste dipendenze comportamentali?
«I due esempi citati sono le facce di una stessa medaglia: il disagio giovanile è quasi endemico, soprattutto in certe zone della nostra Lombardia e in certi quartieri delle nostre città. A loro, la politica ha il dovere di fornire un’alternativa valida tanto alla spirale della droga quanto all’illusione dei soldi facili mettendo virtualmente in vendita il proprio corpo. Come dicevo, serve intanto investire sull’istruzione, ma non basta. Dobbiamo ripensare tutto il percorso educativo dei ragazzi, sfruttare il valore sociale degli sport e delle passioni culturali, mettere in campo progetti innovativi per coinvolgerli e farli sentire sempre più parte attiva e centrale della nostra società».