Nessuna meraviglia se Mario Draghi, nel suo discorso in Senato, non ha fatto alcun riferimento alle politiche familiari. La formazione tecnocratica del nuovo premier e il suo legame a doppio filo con la grande finanza spiegano perfettamente l’attuale programma governativo, in cui la famiglia, più che una risorsa per costruire il Paese, è vista come una cassaforte a cui attingere i risparmi. Quanto ai principi non negoziabili, poi, Draghi manterrà un’astuta neutralità, rimettendo ogni decisione al Parlamento. Gianluigi Paragone (Gruppo Misto) è uno dei pochi senatori che non hanno votato la fiducia al nuovo esecutivo. L’analisi fornita dall’ex pentastellato a Pro Vita & Famiglia è assolutamente coerente con la sua scelta di rimanere all’opposizione.
Senatore Paragone, ci troviamo di fronte all’anomalia di un governo dalla composizione quasi interamente politica ma guidato dal premier tecnico. Sullo sfondo di una politica in crisi, emergerà comunque il primato della finanza?
«Ritengo questo sia un governo “tecnicamente politico”, nel senso in cui la politica sarà funzionale agli strumenti della tecnica e della finanza, di cui il premier ha piena competenza. Draghi completerà il processo di transizione dell’Italia da potenza industriale a “parco di divertimenti” d’Europa. Quando in Senato ho citato Federico Caffè [di cui Draghi fu allievo, ndr] e il suo saggio Contro gli incappucciati della finanza, l’ho fatto di proposito. Il “cappuccio della finanza” è ciò che rende la finanza invisibile, a differenza della democrazia che ha per forza bisogno di un confronto, quantomeno in sede elettorale. Draghi non ne ha bisogno perché è un cooptato e, in quanto tale, non ha mai ottenuto le cariche che ha ricoperto tramite concorso pubblico. In quanto cooptato, può tranquillamente nascondersi sotto il “cappuccio della finanza”. Tutto ciò ha una sua logica: nel momento in cui la politica ha paura di rivendicare il suo potere – ahimè – entra in gioco il demone della finanza».
Per quale motivo, secondo lei, nel suo discorso al Senato, Draghi non ha mai menzionato la famiglia, né le problematiche demografiche del Paese?
«Alla finanza non interessa la famiglia come soggetto in sé. Interessa, piuttosto, il risparmio delle famiglie. E il risparmio delle famiglie italiane è molto ampio e diversificato, e ha sempre rappresentato la caratteristica peculiare della nostra economia, costruita sul miracolo della piccola impresa. Il “piccolo” non era nient’altro che l’esaltazione del concetto familiare e dell’economia familiare, che poi si è allargata. Draghi, quindi, non può parlare di famiglia. Nel momento in cui distruggi anche il nostro modello economico, va da sé che non puoi tenere in considerazione la matrice del modello economico familiare. Concentrarsi sulle politiche a sostegno delle famiglie, per Draghi, sarebbe problematico. Potrebbe adottare qualche misura di rito, in modo da accontentare la Chiesa ma lui non ci crede affatto. Per credere nella famiglia devi credere in tutto quel complesso di agenti di controllo sociale di cui la famiglia è il perno fondamentale. Quindi, se tu non credi in questo scenario, ovviamente non avrà senso difendere la famiglia. Più probabile che parteciperai alla destrutturazione della famiglia stessa».
Che piega prenderà il dibattito sui valori non negoziabili in questo ultimo scorcio di legislatura?
«Credo che in questo ambito Draghi si farà furbo e lascerà tutto in mano al Parlamento. Questo è un governo che ha dentro di sé le sfere della Chiesa ma anche dell’antichiesa, quindi, non potendo servire tutti i poteri allo stesso modo, secondo me, ancora una volta, lascerà le cose in sospeso. Sui temi etici Draghi non toccherà palla. Il parlamento è sovrano ma è imbambolato in una pseudo-maggioranza. È una maggioranza che rischia di annaspare nelle sue tante contraddizioni. Quindi non credo arriverà mai in porto qualcosa di decisivo su questo».
Qual è, invece, la concezione di famiglia che lei porterebbe avanti in Parlamento?
«Il modello italiano ha sempre avuto il suo punto di forza nella famiglia. Quando si parla di difesa della famiglia in termini etici (penso alla questione “genitore 1 - genitore 2”), significa respingere completamente quella “modernità” che è il demone assoluto. Oggi si sta confondendo il termine “modernità” con il tentativo di svuotare completamente la forza della famiglia. Di conseguenza, si sta distruggendo la famiglia in nome della modernità, intesa, in questo caso, con l’identità di genere, con la procreazione artificiale, ecc., quindi con tutti gli strumenti utili a smontare quella che è la nostra forza. Molto più che in altri paesi, in Italia la famiglia è sempre stata il motore inesauribile dell’economia e dello sviluppo Difendere la famiglia vuol dire difendere l’italianità».