29/11/2019

Europa "malata". Cos'è la Convenzione di Instanbul e chi si oppone

Solamente in 91 si son opposti all’approvazione - avvenuta nelle scorse ore in Europarlamento, con ben 500 voti favorevoli - di una proposta di risoluzione non legislativa con la quale, in buona sostanza, si è esortato il Consiglio a concludere la ratifica della Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne, più nota come Convenzione di Istanbul. Tra questi 91 contrari, anche quattro eurodeputati italiani, ossia gli onorevoli Carlo Fidanza, Pietro Fiocchi, Nicola Procaccini di Fratelli d’Italia e Giuseppe Milazzo e Massimiliano Salini per Forza Italia. 

Con l’approvazione del citato documento – politicamente avversata, per lo più, dalla rappresentanza della Slovacchia - si sono condannati gli attacchi e le campagne contro la Convenzione di Istanbul, ritenuti non corretti e basati su una fuorviante interpretazione del documento. Non solo. I 500 dell’Europarlamento, con il loro voto, hanno inoltre chiesto alla Commissione di aggiungere la lotta alla violenza di genere come priorità della prossima strategia europea e di formalizzare un atto giuridico di contrasto generalizzato a tutte le forme di violenza di genere, comprese le molestie online e la violenza informatica.

Allo stesso modo, l'Assemblea ha tracciato delle linee guida secondo cui tutti gli Stati membri dovrebbero garantire che la Convenzione sia attuata e applicata correttamente. Per garantire quest’attuazione, il Parlamento europeo ha ribadito pure la sua posizione a favore di uno stanziamento specifico di 193,6 milioni di euro per azioni di prevenzione e lotta alla violenza di genere nell’ambito del programma Diritti e Valori. Ora, alla luce di tutto questo l’opposizione dei 91 alla risoluzione pro Convenzione di Istanbul risulta a prima vista incomprensibile, essendo esso un documento contro la violenza sulle donne. Almeno apparentemente.

Già, perché una lettura appena meno superficiale di questa Convenzione ne svela non pochi coni d’ombra. Si pensi, anzitutto, all’uso frequentissimo del termine genere abbastanza curioso dato che il documento nasce per contrastare – a prima vista, almeno – la violenza contro le donne. La parola «donna» non era forse già, di per sé, abbastanza precisa?

Perplessità numero due. Il comma 3 dell’art. 4 della Convenzione fa capire come il termine «genere» non sia usato come sostitutivo di «sesso», ma con un suo significato autonomo. Diversamente, non si sarebbe scritto che «L'attuazione delle disposizioni della presente Convenzione da parte delle Parti contraenti […] deve essere garantita senza alcuna discriminazione fondata sul sesso, sul genere, […] sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere».

Allo stesso modo – terza perplessità - l’art 14 comma 1 allude ad «azioni necessarie per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati». Un riferimento, quest’ultimo, che – alla luce dei richiami «all’identità di genere» - alimenta più di un sospetto circa la natura strumentale della Convenzione di Istanbul che, se letta, appare sostanzialmente un cavallo di Troia per finalità ben diverse da quelle del semplice, e sacrosanto, contrasto alla violenza contro le donne.

L’opposizione dei 91 dell’Europarlamento, ben lungi dall’essere incomprensibile o campata per aria, poggiava insomma su perplessità che è difficile non condividere. E che nascono dal fatto che spesso, anche se non è una novità, dietro la lotta alla  «violenza di genere» si celano ben altre finalità. Perché mai come su questo versante, purtroppo, le apparenze ingannano.

 

di Giuliano Guzzo

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