Due guerre mondiali non sono bastate a farci capire che uccidere è disumano. Sempre. E l’eutanasia è questo che fa: toglie la vita alle persone. Poco importa che sia provocata attivamente (ad esempio con un’iniezione di sostanze letali) o che si rimuovano i “supporti vitali”. C’è sempre una persona, con la sua storia, la sua unicità e la sua preziosità, che viene condotta a morte prima che sia giunta “la sua ora”, a cui viene impedito di continuare a vivere.
Abbiamo già parlato di come vi siano non poche criticità nell’affermare che la morte assistita possa essere la “libera scelta” di una persona e di come, anzi, rappresenti proprio la negazione della libertà di scelta. Ma in tanti Paesi che hanno legislazioni aperte al tema della morte assistita, stiamo notando come, anche se le campagne a suo favore la presentano come garanzia di libertà, abbia sempre meno importanza che il paziente in questione sia d’accordo.
Pensiamo ai vari casi di abusi, in cui né paziente, né parenti hanno chiesto l’eutanasia, eppure è stata praticata. O alla notizia del via libera della Corte suprema olandese all’eutanasia per i dementi, «seppur non in grado di reiterare il loro desiderio di porre fine alla propria vita». O alle proposte di eutanasia “per vita completata” a tutti gli ultrasettantacinquenni (che sembra un modo carino per dire che quando vogliono possono levare il disturbo).
Ma negli ultimi anni, le tragedie legate alla cultura dell’eutanasia hanno toccato anche bambini innocenti, non in grado di esprimersi, che sono stati fatti morire contro la volontà dei loro genitori (che hanno lottato fino all’ultimo per farli vivere), perché secondo dei giudici la morte sarebbe stata il “miglior interesse” di questi piccoli, come nel caso di Charlie, Alfie ed altri bambini.
Tre settimane fa, una bambina (il cui nome non è stato diffuso) è morta proprio come Charlie, scrive Avvenire. La piccola, con una malattia che aveva compromesso il buon funzionamento di reni, polmoni e intestino, sarebbe stata fatta morire addirittura senza che i genitori venissero avvisati. «Stando alla ricostruzione dei fatti, a maggio, il comitato etico dell’ospedale ha deliberato, a porte chiuse, senza alcun coinvolgimento dei familiari, che per la piccola non ci fosse più alcuna possibilità di guarigione e che pertanto «nel suo miglior interesse» fosse disposto il suo trasferimento dal reparto di terapia intensiva a quello per le cure palliative dove, in genere, vengono trasferiti i pazienti da accompagnare alla morte».
Attualmente è in corso un processo, volto a far luce sull’accaduto. Sta di fatto che i casi di morte assistita “forzata” sembrano proprio moltiplicarsi sempre più. Aprire le porte all’eutanasia è aprire le porte a un baratro in cui tutta l’inciviltà e la disumanità può diventare pian piano possibile, legale, obbligatoria.