Eccoci. A meno di una settimana dall’effettiva entrata in vigore in Italia della legge sulle “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” (DAT), la cronaca registra il primo caso di eutanasia attiva legalizzata dallo Stato.
La vittima è Patrizia Cocco, 49 anni di Nuoro e malata di SLA dal 2012, che ha manifestato per quattro volte ai “medici” (sarebbe meglio dire “boia”?) la sua volontà di morire e ha infine ottenuto che le venisse staccato il respiratore, a seguito della sedazione profonda.
Un caso pressoché simile a quello di Piergiorgio Welby, ma che si differenzia per il fatto che ora una legge sull’eutanasia in Italia c’è. E poco importa se la legge non contempla la fattispecie di morte per soffocamento. Commentava in proposito alla discussione dell’allora ddl, nel marzo del 2017, il filosofo Scandroglio: «Il Ddl non parla di rifiuto della ventilazione (fame di ossigeno), ma crediamo che sia solo questione di tempo ed anche essa potrà venire rifiutata». Infatti, riflettendo, perché una persona può scegliere di morire di fame e di sete, ma non per soffocamento? La limitazione, almeno nell’ottica della cultura di morte, non ha ragion d’essere e infatti non crediamo di sbagliare nell’affermare che il caso di Patrizia rimarrà impunito e, anzi, diventerà la prassi: la biglia è sul piano inclinato, oramai fermarla è impossibile.
Cosa c’è di degno e di umano, in tutto ciò? L’eutanasia è veramente un progresso di civiltà o è invece un’imbarbarimento, una regressione?
Leggendo della morte di Patrizia sale infatti al cuore un’immensa tristezza: non aveva nessuno che potesse aiutarla e sostenerla, aiutandola a cogliere il buono e il bello della vita? Non c’era nessuno ad aiutarla a vincere la paura – più che legittima – della sofferenza e della morte? Perché non siamo più capaci di compassione?
E poi, ripensando all’immensa campagna fatta da ProVita e da tante altre benemerite Associazioni contro le DAT, viene da chiedersi: perché, al momento di approvazione del ddl, nessuno ha ascoltato chi sosteneva che il testo era troppo ambiguo, pieno di pieghe che aprivano a baratri di morte? Perché nessuno ha recepito il fatto che il testo è profondamente errato laddove qualificava quali “cure” il nutrimento e l’idratazione? Perché nessuno guarda all’etica medica e al diritto all’obiezione di coscienza?
Le domande sono veramente tante. E, al dispiacere per la morte di questa donna ancora piuttosto giovane, si aggiunge poi – per i credenti – il dolore di sapere che, seppure le sia poi stato erroneamente concesso il rito funebre, Patrizia rientra tra i “peccatori manifesti”... La speranza di tutti è nel fatto che Patrizia abbia pianto all’ultimo una “lagrimetta” di pentimento, ma soprattutto va riposta in Dio, Giusto e Misericordioso.
Teresa Moro
per un’informazione veritiera sulle conseguenze fisiche e psichiche dell’ aborto