Il piccolo Trenton McKinley, di soli tredici anni, ora è felice tra le braccia dei suoi genitori, perchè sfuggito all’eutanasia. La sua storia ci viene raccontata da un articolo di LifeNews.
Stava giocando su un piccolo rimorchio quando quest’ultimo si è ribaltato. Nessuna possibilità di riprendere conoscienza a causa delle gravi lesioni cerebrali che aveva riportato. Questo era ormai il verdetto emanato dai medici che lo hanno visitato.
Il colpo è stato duro per i genitori del piccolo Trenton, i quali, appresa la notizia scoraggiante e nonostante il figlio non fosse in fin di vita, acconsentirono alla proposta dei medici di rimuovere i supporti vitali al piccolo.
Incentivo alla pratica dell’eutanasia era il fatto che la donazione degli organi, a detta dei medici, avrebbe aiutato a salvare altri cinque bambini, nei quali Trenton “avrebbe continuato a vivere”. Ma Trenton non era affatto morto.
Era tutto pronto per praticare l’espianto degli organi e consecutiva eutanasia, quando il piccolo diede finalmente segni di vita. Questione di pochi istanti e non sarebbe più tra noi.
Vari nostri articoli hanno toccato il tema delicato dell’espianto degli organi, spiegando che «dal punto di vista morale, per espiantare un organo vitale, bisogna avere la certezza morale che il soggetto “donatore” sia veramente morto».
E tale morte è da intendersi come la cessazione irreversibile del funzionamento dell’intero encefalo, la sua irreparabile compromissione, con la conseguente perdita di unità funzionale dell’organismo. Ne consegue che solo in presenza di tale “certezza morale” sarà lecito avviare le procedure per dare inizio all’espianto degli organi.
Diversamente, non sarebbe altro che un pretesto per praticare l’eutanasia, un po’ come succede in Belgio, dove, se tre medici concordano sullo stato di morte di un paziente vivo, al medico curante è legalmente consentito prelevarne gli organi per pura “presunzione di consenso”, un omicidio, insomma.
Luca Scalise