A seguito di un trauma grave al cervello, si invoca l’eutanasia, di solito, perché il malcapitato aveva detto (fatto un testamento biologico, o Dat) che non voleva “ridursi così”: accade una disgrazia, i medici dichiarano il persistente stato vegetativo, lui “voleva” morire, gli tolgono cibo e acqua.
E se invece lui in quel momento voleva vivere ma non riusciva a comunicarlo?
L’espressione “stato vegetativo” è cara alla neolingua: richiama il vegetale, ciò che non è più umano. Invece la dignità dell’essere umano si perde solo con la morte (naturale): la vita è sacra sempre, perché anche la persona più provata, resta una persona non “diventa un vegetale”.
E per di più la scienza prova che “dentro” lui/lei c’è, può essere cosciente e non riuscire a comunicare con l’esterno.
Michael Cook di Bio Edge riporta a sostegno di tutto ciò i risultati di un nuovo studio pubblicato sul New England Journal of Medicine afferma che circa il 15% di pazienti che sembrano incoscienti rispondono ai comandi verbali con attività cerebrale, anche se non vi è alcun segno esterno.
I ricercatori hanno registrato le risposte nell’analisi computerizzata specializzata delle registrazioni degli elettroencefalogramma di routine . Questi pazienti hanno quattro volte più probabilità di risveglio e di recupero nel corso di un anno – con adeguata riabilitazione – rispetto ai pazienti che non mostrano questa attività cerebrale. Ne ha parlato anche il New York Times.
Lo studio ha esaminato 104 pazienti in terapia intensiva neurologica della Columbia University che avevano subito traumi cranici, attacchi di cuore o emorragie cerebrali.
Il dott. Jan Claassen, autore principale dell’articolo pensa che ci sia uno stato di coscienza dentro quei pazienti. Non si sa cosa abbiano capito, ma il cervello ha reagito.
I risultati di questo studio confermano le conclusioni di tante altre ricerche simili. ( Si veda ad esempio qui, qui , qui , qui , qui, qui, e soprattutto qui).
L’eutanasia, in esecuzione del testamento biologico (o Dat) potrebbe essere un grave abuso che calpesta quella libertà e autodeterminazione del paziente che si dice (spesso in mala fede) di voler tutelare.