23/10/2019

Eutanasia e suicidio assistito, «Il medico lenisce il dolore, non uccide»

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sulla non punibilità in tutti i casi dell’aiuto al suicidio, si è tenuto a Parma un convegno dal titolo: “Il suicidio assistito tra diritto e deontologia. La legge, il consenso e la palliazione”, organizzato dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCEO), dall’Omceo Parma e dal Gruppo di lavoro su “Suicidio assistito e eutanasia” della Consulta nazionale deontologica.

In tal sede, Filippo Anelli, presidente della FNOMCEO, è stato molto chiaro sul ruolo del medico nei temi relativi al fine vita, ribadendo, giustamente, quanto dovrebbe essere ovvio riguardo la sua figura: «Il medico ha per missione quella di combattere le malattie, tutelare la vita e alleviare le sofferenze. Quello del suicidio assistito è quindi un processo estraneo a questo impegno», proprio come afferma l’antico principio dell’arte medica, secondo cui anzitutto non bisogna nuocere ad alcuno, “Primum non nocere”.

Se, dunque, da un lato, venisse considerato “diritto” quello di un cittadino a suicidarsi, dall’altro bisogna necessariamente rispettare il diritto all’obiezione di coscienza del «medico che si considera fermo sostenitore della tutela della vita».

Pertanto, «si chiede […] di lasciare la nostra categoria estranea a questo atto suicidario. Il medico non abbandonerà mai a sé stesso il paziente, assicurerà sempre le cure palliative per contenere il dolore sino alla sedazione profonda e sarà presente fin dopo il decesso, che certificherà, ma non compirà l’atto fisico di somministrare la morte».

«Il medico di fronte al fine vita, lenisce il dolore, non uccide»; non si può essere, dunque, a detta di Pierantonio Muzzetto, presidente della Consulta Nazionale Deontologica Fnomceo e dell’Omceo Parma, «pedine di una legislazione che non tenga conto della coscienza del medico».

Come Pro Vita e Famiglia, concordiamo pienamente sulla necessità che sia tutelata la libertà di obiezione di coscienza di ciascun medico. Di contro, rispetto a quanto affermato da alcuni relatori, che ne consigliano l’incremento d’uso, ribadiamo la pericolosità delle disposizioni anticipate di trattamento: chi da un certo momento in poi non fosse più in grado di esprimersi, non potrebbe modificarle, neanche se cambiasse idea.

Riteniamo, infine, che non sia mai da considerarsi “diritto” quello a togliersi o a farsi togliere la vita: uno Stato che ha a cuore il bene dei cittadini non dovrebbe mai stabilire delle condizioni in cui la vita di una persona non sia più degna d’essere vissuta, ma dovrebbe riaffermare il valore e la dignità di ciascuno, tutelando specialmente chi soffre ed offrendogli tutto l’aiuto necessario a vivere.

 

di Luca Scalise

Fonte: La Legge per tutti

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