Mentre in Italia è iniziato il conto alla rovescia per la sentenza della Corte Costituzionale, attesa per martedì 24 settembre, gran parte del mondo anglosassone e nordeuropeo è già molto “avanti” in tema di eutanasia e suicidio assistito. Lo confermano molte delle relazioni esposte durante la tavola rotonda Eutanasia e suicidio assistito: una sfida globale, ospitato venerdì presso l’Istituto Maria SS.ma Bambina in Vaticano, e promosso da Mater Care in collaborazione con Pro Vita & Famiglia ed Euthanasia Prevention Coalition.
Nel suo intervento, il dottor William Toffler, membro di Physicians for Compassionate Care, ha descritto lo scenario del fine vita in Canada e negli USA, ricordando come i dibattiti su eutanasia e suicidio assistito non siano affatto slegati dagli argomenti dell’aborto e della contraccezione: la base comune è infatti il rifiuto della vita, in tutte le sue forme subdole o esplicite. Toffler ha portato ad esempio il Death with Dignity Act adottato nello stato dell’Oregon, in base al quale si possono sospendere le cure se la diagnosi di sopravvivenza è inferiore ai sei mesi.
Durante la sua relazione, Toffler ha riportato alcune videotestimonianze di donne salvate dall’eutanasia: Barbara Wagner, cui era stato diagnosticata una metastasi cancerosa, ha rivelato che «la chemioterapia non riceve copertura sanitaria», mentre «i farmaci per il suicidio assistito sono coperti al 100%. La gente merita il sollievo dal dolore, non un’overdose – ha commentato la donna –. Le cure sono costose ma la morte è gratis…».
Ancor più toccante il racconto di Jeannette Hall, alla quale nel 2000 era stato diagnosticato un cancro terminale. Quindici hanno dopo, la paziente ha rivelato di aver richiesto il suicidio assistito e di aver rifiutato la radioterapia. A farle cambiare idea fu il dottor Kenneth Stevens, suo oncologo curante: «Signora, le piacerebbe assistere alla laurea o il matrimonio di suo figlio, il suo matrimonio?», le chiese il dottor Stevens. E lei, commossa da queste parole, ritrovò la forza di vivere. «Un vero medico è quello che ti dà speranza, anche quando la speranza se n’è andata», ha commentato la signora Hall.
Sempre riguardo al Canada, il dottor Paul Saba, della Coalition of Physicians for Social Justice, ha ricordato che nel paese l’eutanasia infantile non è ancora legale, nonostante alla fine dello scorso anno, il Council of Canadian Academies abbia formalmente auspicato la sua approvazione. Fermare questa deriva sarebbe fondamentale, ha argomentato Saba, nella misura in cui «i bambini non hanno diritto di voto, né usano carte di credito», quindi risulta fortemente manipolato il concetto di «libertà di scelta». L’eutanasia infantile, oltretutto, non è affatto un concetto nuovo, essendo già molto diffuso nell’antichità, ha ricordato Saba. Nel secolo scorso, essa riemerse in tutta la sua forza durante il nazismo, sulla scia delle emergenze sociali in Germania durante gli anni del primo dopoguerra, in cui figurava anche il problema di molti bambini malati e denutriti.
Da parte sua, Annette Hanson, psichiatra e docente all’Università del Maryland, si è soffermata sulle controversie relative all’eutanasia indirizzata alle persone con problemi psichiatrici. In Canada, nel solo 2017, ha ricordato la professoressa Hanson, ben 311 pazienti con disordini dell’umore, schizofrenia, disturbi alimentari e personalità borderline sono stati sottoposti ad eutanasia. In generale, ha sottolineato la psichiatra, questa tendenza è in crescita, in ragione del fatto che i pazienti psichiatrici sono «particolarmente impegnativi» e rappresentano una «sfida» per i loro medici, che spesso si rassegnano ad assecondare i loro desideri di morte. La Hanson ha quindi menzionato un aneddoto della sua vita professionale, quando, a un paziente che voleva morire, «preferii dargli del Prozac e lui, qualche settimana dopo, mi ringraziò per quella medicina».
Lo scenario in Scozia e nel Regno Unito è stato illustrato da Gordon MacDonald, membro della Car Not Killing Alliance e lobbista pro life presso il parlamento scozzese. I tentativi di legalizzazione del suicidio assistito in Scozia, ha spiegato MacDonald, si susseguono dal 2006, nonostante un’ampia maggioranza di medici (intorno al 60%) sia ancora contraria, pur con una percentuale di favorevoli in crescita. MacDonald ha quindi menzionato vari fattori critici nel dibattito: in varie parti del mondo moltissimi casi di eutanasia tra le persone anziane sono motivate da «ragioni economiche», mentre in Oregon, uno dei primi stati americani a legalizzare il suicidio assistito, «la percentuale di suicidi è superiore del 45% alla media nazionale». In Belgio, i morti ufficiali per eutanasia sono passati dai 24 del 2002, ai 2357 del 2018, mentre in Olanda «più di un quarto delle morti sono indotte», ha aggiunto MacDonald.
La sessione mattutina è stata chiusa da Fabian Stahle, ricercatore pro life svedese, che si è concentrato sulle manipolazioni del linguaggio che hanno portato all’accettazione di massa dell’eutanasia, mentre Catherine Glenn Foster, presidente dell’American United for Life, ha illustrato la situazione generale negli USA, dove nove stati hanno legalizzato il suicidio assistito (California, Oregon, Washington, Montana, Colorado, Vermont, Maine, Hawaii, Distretto di Columbia), mentre la maggior parte l’hanno finora respinto e «la Corte Suprema continua ad affermare la protezione della vita». Nel Distretto di Columbia, poi, su undicimila medici, soltanto due hanno dichiarato la propria disponibilità a praticare il suicidio assistito. «I medici sono molto preoccupati per l’integrità della loro professione», ha commentato Glenn Foster.
di Luca Marcolivio