10/03/2022 di Luca Marcolivio

Eutanasia. Fabiola Bologna (Coraggio Italia): «Deriva eutanasica alla Camera, a sinistra si fermino o se ne pentiranno»

È importante continuare la battaglia degli emendamenti per riaffermare il valore della vita delle persone fragili, dando la priorità all’applicazione della legge sulle cure palliative. A dichiararlo a Pro Vita & Famiglia è l’onorevole Fabiola Bologna, deputato di Coraggio Italia e segretario della Commissione Affari Sociali e Sanità alla Camera. Una necessità, quella di continuare la battaglia sugli emendamenti che però sta trovando, proprio in queste ore, il netto ostruzionismo della sinistra, che sta bocciando tutte le proposte del centrodestra, portando così il Parlamento ad una vera e propria deriva eutanasica. È stata la stessa Bologna a sottolinearlo e,  in qualità di medico e neurologo, ha anche ribadito una realtà spesso dimenticata: la maggior parte dei malati gravi non chiede di morire ma di vivere.

Onorevole Bologna, come sta procedendo la discussione sul ddl Bazoli-Provenza? C’è ancora qualche margine per un testo condiviso?

«Voglio premettere che noi di Coraggio Italia siamo per il “favor vitae”, quindi, siamo politicamente ed eticamente contrari a questa legge per come è scritta. La nostra priorità è quella di ottenere l’uguaglianza delle cure sul territorio nazionale e di attuare la Legge 38/2010 sulle cure palliative come presa in carico del paziente e della famiglia da tutti i punti di vista sanitario, sociale ed economico. Prima dobbiamo garantire a tutti pari opportunità di cura e assistenza e poi parleremo di scelta libera! In Commissione Sanità abbiamo comunque contribuito a migliorare il testo e siamo riusciti a modificare alcuni aspetti di questa legge per la tutela dei più fragili. Speravamo in Aula di far comprendere meglio la necessità di definire il perimetro di questa legge e di rendere più chiara la terminologia utilizzata. Infatti, la terminologia è ancora talmente ampia, aleatoria e indefinita che apre a scenari imprevedibili. Basti pensare che, come requisito per la richiesta del suicidio assistito, è sufficiente che la persona si trovi in una “condizione clinica irreversibile”: praticamente può rientrarci di tutto! La Corte Costituzionale, infatti, ha utilizzato la terminologia “patologia irreversibile” ma aveva davanti un caso specifico, quello del Dj Fabo, mentre con la terminologia “condizione clinica irreversibile” non solo allarghiamo il perimetro ma ci dimentichiamo che dobbiamo legiferare non per un singolo caso ma per ogni caso che si potrebbe presentare, quindi dobbiamo essere il più chiari e specifici possibili, per tutelare i più fragili, considerando sempre che la Corte ha specificato l’importanza, prima di ogni cosa, della attuazione delle cure palliative. L’impianto della legge è costituito, pertanto, da una terminologia vaga; pensiamo alle “sofferenze fisiche e psicologiche” che la persona trova intollerabili: è un dato soggettivo che nella legge non viene supportato da alcuna valutazione oggettiva. Anche la terminologia di “sostegno vitale”, che non è specificata come nutrizione o ventilazione, potrebbe essere interpretato come farmaco, presidio che tiene in vita una persona. Ad esempio, pensiamo ad un paziente diabetico insulino-dipendente che ritiene di soffrire molto, ma che senza insulina andrebbe incontro a morte, quindi potrebbe chiedere il suicidio assistito. In conclusione, questa è una legge che potrà essere interpretabile a seconda dei casi e che renderà difficile il compito di chi dovrà applicarla».

Che tipo di emendamenti sta proponendo Coraggio Italia?

«I nostri emendamenti vanno nella direzione di rendere più chiara la terminologia per non dare adito ad interpretazioni: abbiamo chiesto di eliminare la “condizione clinica irreversibile” che è un termine aleatorio per noi inaccettabile; abbiamo proposto emendamenti con le definizioni di patologia irreversibile e di prognosi infausta in modo che non siano interpretabili; abbiamo chiesto di chiarire cosa si intenda per sostegno vitale. Abbiamo chiesto una valutazione oggettiva delle sofferenze fisiche e psicologiche della persona malata. Abbiamo chiesto un perimetro chiaro di applicazione della legge. Abbiamo chiesto una maggiore armonizzazione con la legge 38/2010 e una maggiore attenzione alla relazione medico-paziente che nel percorso terapeutico-assistenziale e per le decisioni del paziente è fondamentale. Inoltre, abbiamo proposto di prevedere un registro nazionale e un monitoraggio delle richieste, delle procedure e degli esiti che possano aiutarci ad intercettare abusi o devianze».

Complice anche la compressione dei tempi di discussione, i gruppi parlamentari di centrosinistra sembrano continuare a ignorare gli emendamenti: la volontà è quella di accelerare per ottenere un testo eutanasico?

«Sicuramente approvare questa legge, per come è scritta, vuol dire aprire la strada ad una eventuale deriva eutanasica e ad una cultura dello scarto che abbiamo già visto in altri Paesi e chi la voterà se ne prenderà la responsabilità davanti ai cittadini. Il Parlamento, come rappresentante di tutto il popolo, deve poter ascoltare e discutere le diverse visioni che devono essere chiare rispetto ai diritti della persona, all’etica, alla morale, alla differenza tra il vivere relazionale o personalistico, tra una società dell’astrazione o una società della cura, tra il concetto astratto di autodeterminazione o il valore della indisponibilità della vita, fino alla scienza e alla tecnologia come strumenti tecnocratici o come speranza di una vita migliore anche per i più fragili. C’è una parte del Parlamento - centrosinistra, M5S, radicali, parti del misto - che vuole accelerare i tempi e ridurre la discussione, a mio avviso, senza volersi confrontare e riflettere per comprendere quelli che saranno gli effetti a lungo termine di una legge scritta male sul tema della Vita e della Morte delle persone, rischiando di pentirsene in seguito e troppo tardi».

Ritiene che il testo attuale rispecchi le indicazioni della Corte Costituzionale (sentenza 242/2019)?

«La Corte Costituzionale si è espressa rispetto a un caso specifico, quello di Dj Fabo, utilizzando un linguaggio connesso alla situazione di questa persona; noi dobbiamo legiferare per proteggere tutti i cittadini, soprattutto i più fragili. Pertanto, il Parlamento dovrebbe considerare i principi espressi dalla Corte che sono a favore della tutela della vita e riflettere sulla terminologia per evitare interpretazioni soggettive e di emanare una legge che estende molto il perimetro rispetto a quello che i giudici costituzionali avevano delineato. Per questo, continueremo ad intervenire in Aula e in tutte le sedi, per far riflettere su questa diversione».

Fermo restando che siamo a meno di un anno dalla fine della legislatura, quindi i tempi stretti non rendono affatto scontata l’approvazione del disegno di legge, crede che ci siano i margini per fermare questa deriva eutanasica, almeno al Senato?

«Anche se, alla Camera dei Deputati, molti dei nostri emendamenti non sono stati considerati, continueremo a spiegare le nostre ragioni e preoccupazioni ai cittadini e ai colleghi parlamentari, molti dei quali sappiamo essere ancora dubbiosi; speriamo possano riflettere in questo percorso in maniera oggettiva e senza condizionamenti. Discuteremo ancora in Aula, alla Camera, le prossime settimane, poi al Senato cercheremo fino all’ultimo giorno di migliorare e circoscrivere questa legge con l’obiettivo di difendere i più fragili e allontanare derive ed abusi».

Come medico e neurologo, qual è la sua esperienza con la sofferenza estrema dei pazienti? Sono davvero così tanti, quelli che chiedono di morire?

«La mia lunga esperienza di neurologo mi insegna che il malato vuole vivere. Anche laddove la guarigione dalla malattia è impossibile, possiamo offrirgli, oggi, cura e assistenza. Poiché il valore della vita è inestimabile, la cura e la relazione medico-paziente-famiglia sono elementi fondamentali. Dobbiamo anche considerare che è frequente che siano i familiari ad avvertire come insopportabile il peso della sofferenza e la frustrazione perché sono, troppo spesso, lasciati soli e questa incapacità del sistema di garantire una rete di sostegno potrebbe condizionare le scelte del malato. Ci sono migliaia di persone con malattie gravissime che chiedono di vivere con dignità insieme alle loro famiglie, ma non fanno notizia e combattono ogni giorno contro la logica dello scarto. Dobbiamo comprendere che è una responsabilità dello Stato e della comunità creare le condizioni sanitarie, sociali ed economiche per garantire al malato e alla sua famiglia la migliore qualità di vita possibile. Questa deve essere la nostra priorità e l’obiettivo che nel nostro Paese ancora non può dirsi raggiunto».

 

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