Lo scorso 31 marzo, di ritorno dal suo viaggio apostolico in Marocco e sottoposto al fuoco di fila delle domande dei giornalisti, papa Francesco ha voluto affrontare, in aereo, uno degli argomenti che gli stanno più a cuore, ovvero il diritto all’obiezione di coscienza per i medici che non vogliano praticare l’eutanasia:
«A me preoccupa un’altra cosa: la retrocessione di noi cristiani quando togliamo la libertà di coscienza, pensiamo ai medici e alle istituzioni ospedaliere cristiane che non hanno il diritto della obiezione di coscienza, per esempio per l’eutanasia. Come? La Chiesa è andata avanti e voi Paesi cristiani andate indietro? Pensate questo perché è una verità. Oggi noi cristiani abbiamo il pericolo che alcuni governi ci tolgano la libertà di coscienza che è il primo passo per la libertà di culto».
Con queste parole, il Papa ha inteso schierarsi, ancora una volta decisamente, contro l’eutanasia, così come ha fatto in più occasioni: ricordiamo che nel gennaio del 2018 aveva parlato chiaramente alla Congregazione per la Dottrina della Fede, riunita in seduta plenaria per affrontare il tema dell’accompagnamento dei malati terminali, dicendo che si assiste a «una crescita della richiesta di eutanasia come affermazione ideologica della volontà di potenza dell’uomo sulla vita», e sottolineando come il «processo di secolarizzazione, assolutizzando i concetti di autodeterminazione e di autonomia, […] ha portato anche a considerare la volontaria interruzione dell’esistenza umana come una scelta di “civiltà”».
Perché «laddove la vita vale non per la sua dignità, ma per la sua efficienza e per la sua produttività, tutto ciò diventa possibile», ed è proprio questo atteggiamento che rispecchia un modus operandi frutto di una visione ideologica, nichilista e che si innesta perfettamente in quella che papa Francesco definisce «cultura dello scarto», al di là delle ipotetiche intenzioni “filantropiche” dei sostenitori della cosiddetta “dolce morte” e che è alla base anche della negazione dell’obiezione di coscienza per quei medici che attribuiscono alla vita umana un valore totalmente diverso, rifiutandosi di legare la sacralità e l’indisponibilità della vita a criteri prettamente ideologici.
Ma proprio in questo scenario così difficile, in cui un vero e proprio duello tra morte e vita oggi infuria «occorre ribadire che la vita umana, dal concepimento fino alla sua fine naturale, possiede una dignità che la rende intangibile» proprio come ha chiosato il Papa, in maniera chiara, inequivocabile e definitiva, nel suo Discorso alla congregazione per la dottrina della fede, tenuto appena un anno fa.
Manuela Antonacci