L’Olanda continua a essere un macabro scenario di abusi sull’eutanasia. Secondo quando rivelato dall’Observer, almeno tre casi verificatisi tra il 2017 e il 2018, sono sotto indagine e tutti e tre riguardano donne con gravi problemi psichiatrici. Sarebbero evidenti le violazioni dei limiti previsti dalla legge del 2002, in assoluto una delle prime al mondo a istituzionalizzare la “dolce morte”.
Sempre in Olanda, ad agosto, un medico sarà processato per una serie di irregolarità durante una procedura eutanasica nel 2016: prima dell’“iniezione finale” alla paziente era stato versato del sedativo nel caffè. Durante la procedura, però, la donna si era svegliata, ribellandosi alla morte, pertanto i medici avevano chiesto alla famiglia di tenerla ferma. Poco dopo era spirata.
Secondo la legge olandese, il paziente può essere sottoposto a eutanasia quando sperimenta sofferenze intollerabili e manifesta un evidente desiderio di morire. I medici, da parte loro, sono obbligati a tenere conto di una seconda opinione alternativa.
L’ultimo rapporto dei Comitati Regionali Olandesi sull’Eutanasia, che esamina la conformità legale di ogni singolo caso, rivela che sono in corso indagini su una mancata “diligenza dovuta” nel far morire una donna. Secondo il rapporto, una paziente sui settant’anni, affetta da depressione, era stata operata per problemi addominali e, in quella circostanza, le era stato scoperto un cancro ai polmoni. Parlando con la propria dottoressa, la donna le aveva riferito delle sue insopportabili sofferenze e della sua volontà di morire. Un collega del suo medico curante aveva preso in esame il caso ma non aveva raccolto la seconda opinione da parte di uno psichiatra indipendente, come prescrive la legge.
Il secondo caso riguarda una donna ultrasessantenne affetta da Alzheimer, il cui consulente indipendente aveva ritenuto non soffrisse così tanto. Nel terzo caso è coinvolta un’ottantenne con osteoartrite e altre patologie, che aveva rifiutato i trattamenti.
Le indagini hanno messo in allarme i sostenitori dell’eutanasia, a partire da Dick Bosscher, membro dell’organizzazione che si batté per la legalizzazione. «Riteniamo che i medici stiano frenando, anche se non possiamo dimostrarlo», ha detto Bosscher, affermando che «l’anno scorso, per la prima volta dopo vari anni, ci sono stati meno casi di eutanasia in Olanda. Se le cose siano più chiare ai medici è difficile dirlo, perché il concetto di sofferenza intollerabile varia da una persona all’altra».
L’argomento sta effettivamente dividendo i medici olandesi: lo scorso anno 450 di loro hanno sottoscritto un documento pubblicato in un’inserzione da una pagina, dichiarando la loro contrarietà al dare un’iniezione letale a un paziente incapace di intendere e volere. La bioeticista Berna van Baarsen ha rassegnato le dimissioni dal comitato per l’eutanasia, per protesta contro il ruolo sempre più preponderante delle dichiarazioni anticipate di trattamento anche per le persone incapaci di esprimere la propria volontà.
A onor del vero, i casi di eutanasia legati alla sofferenza psichiatrica o alla demenza, sono piuttosto rari. Nel 2018 vi sono stati 6126 (qualche centinaio in meno rispetto ai 6585 del 2017), di cui l’1% ha riguardato patologie psichiatriche e il 2,4% la demenza. Due terzi delle richieste sono arrivati da malati di cancro terminali.
Un membro anonimo dello staff per il comitato di revisione ha sottolineato che un adolescente con anoressia non può, semplicemente per questo, chiedere l’eutanasia. La commissione ha riferito che, nel 2015, l’eutanasia ha rappresentato il 4,6% delle morti in Olanda, mentre il 18% delle persone decedute aveva ricevuto qualche forma di sedazione palliativa (ad esempio, la morfina) prima di morire.
«La legge sull’eutanasia è costantemente oggetto di dibattito e i singoli casi richiedono una considerazione complessa», ha affermato Axel Dees, portavoce del ministero della salute, che ha lanciato nelle scorse settimane una campagna denominata On About Palliative Care, per incoraggiare la cittadinanza a pianificare il proprio fine vita. Dees ha aggiunto che il governo sta studiando una proposta di riforma della legge sull’eutanasia per allargarne l’applicabilità a coloro che ritengono la propria vita ormai “completa” ma uno dei partiti che sostengono la maggioranza di governo, ChristenUnie, si è opposto.
Il dibattito sui “complete lifers” si annuncia agguerrito ma gli attivisti pro eutanasia affermano che le ragioni psichiatriche per chiedere l’eutanasia sono valide quanto quelle fisiche, argomentando che comunque molti si suiciderebbero, come ha fatto la giovane Noa Pothoven, rifiutando acqua e cibo.
Elke Swart, portavoce di End of Life Clinic, che avrebbe rifiutato di praticare l’eutanasia sulla stessa Noa, ha spiegato che il loro obiettivo è quello di preservare la vita. «I pazienti dicono: non voglio morire ma non posso vivere» ha detto Swart. «Meno di un terzo delle richieste di eutanasia vengono concesse. La maggior parte non soddisfa i criteri legali, inoltre molte persone riscontrano nel tempo nuove ragioni per rimanere vive. Questo è ovviamente il risultato migliore».
Rimane il fatto che gli abusi, le approssimazioni e le irregolarità sono diffusi a un livello incontrollabile. Come riporta uno studio pubblicato nel 2017 sul British Medical Journal,nel 13% dei casi non è stata accertata la volontarietà della richiesta dell’atto eutanasico; nel 16% dei casi non è stato accertato se la richiesta di eutanasia fosse correttamente valutata dal paziente e dal medico come richiede la legge; nel 19% dei casi non è stata accertata l’insopportabilità della sofferenza; nel 22% dei casi non è stata valutata una ragionevole alternativa.
Il caso olandese è, in definitiva, il sintomo di una vera e propria nemesi: legalizzata in nome della libertà e dell’autodeterminazione del paziente, l’eutanasia sta diventando uno strumento destinato a rivolgersi contro coloro che non vogliono farne uso. Con buona pace dello spirito “liberale” che animerebbe questa legge…
Luca Marcolivio
Fonte: The Guardian