La Portuguese pro-life Federation ci aggiorna circa il duro lavoro che sta portando avanti contro la legalizzazione dell’eutanasia. Cinque proposte di legge, lo scorso 20 febbraio, sono state approvate dal parlamento portoghese, ma la Federazione portoghese pro life aveva già lanciato una petizione per ostacolarla da alcuni giorni prima.
Così, mentre le proposte erano state inviate ad una commissione parlamentare che le avrebbe discusse una ad una, il 7 marzo i pro life avevano raggiunto 74mila firme per chiedere un referendum (quando ne sarebbero state sufficienti 60.000). Il giorno di inizio lockdown, 13 marzo, le firme erano già 86mila. Terminata la quarantena, il dibattito in Parlamento è ricominciato e la Federazione ha potuto presentare le 95mila firme raggiunte.
È un gran bel traguardo che mostra chiaramente come la difesa della dignità della vita di ciascuno non sia solo l’obiettivo di qualche associazione, ma di un popolo che pretende rispetto per i più deboli e che non venga abbandonato chi soffre.
Sorprendente anche la presa di posizione dell’Ordine dei Medici, che, in caso di legalizzazione, vi si opporrà, non nominando alcun medico nelle commissioni che dovrebbero valutare nei singoli casi se permettere o meno l’accesso all’eutanasia. Del resto, il compito del medico è curare, non uccidere.
È stato duro anche il parere di 15 fra i più importanti insegnanti universitari di diritto pubblico portoghesi, che ritengono incostituzionali tali proposte di legge. Insomma, quale società può dirsi “civile” se permette l’uccisione di un essere umano, anche qualora quest’ultimo fosse consenziente? Chi dice di desiderare la morte soffre terribilmente. Perché non intervenire per eliminare o ridurre le cause di tale sofferenza, piuttosto che eliminare direttamente la persona che soffre?
In Portogallo sembrano averlo capito in tanti, che non si fanno prendere in giro da quella balla colossale secondo cui l’eutanasia sarebbe una forma di “compassione”.