La proposta di legalizzazione dell’eutanasia è stata ormai approvata dal parlamento della Nuova Zelanda. Per una legge, non resta che aspettare il prossimo referendum del 2020, spiega un articolo di Tempi. È un periodo cruciale, dunque, per la Nuova Zelanda, in cui chi veicola l’informazione sul tema gioca un ruolo quanto mai fondamentale.
È indispensabile, dunque, che come vien dato risalto agli attivisti per l’eutanasia, così venga data voce in capitolo in modo equo anche ai pro life. «Hospice e associazioni di assistenza al fine vita si oppongono a questo disegno di legge in quanto lo giudicano pericoloso. Non possono essere ignorati», afferma Alfred Ngaro, deputato del partito nazionale, evidenziando il fatto che il 90 percento dei «protagonisti del dibattito» (cioè, principalmente, i medici) fosse contrario a una simile legge.
Anche la modella 41enne Claire Freeman si sta battendo per la vita, collaborando con la campagna “DefendNZ”, in difesa dei più deboli, prime vittime dell’eutanasia. “E chi è lei per parlare?”, si chiederebbero indignati gli attivisti per l’eutanasia? Una donna coraggiosa che, sul punto di farsi fuori, ha scelto di riprendere in mano la sua vita.
Sempre Tempi racconta di quando, anni fa, la donna, provata dalle sofferenze della sua condizione di tetraplegica e dopo aver tentato il suicidio ben quattro volte, si rivolse a un medico e ad uno psichiatra, manifestando il suo dolore e la sua intenzione di ricorrere al suicidio assistito. Questi, senza farsi troppi problemi, la invitarono a recarsi in Svizzera per farla finita con il suicidio assistito.
«È sconvolgente come si sono comportati. Avevo appena tentato di suicidarmi e loro, guardandomi, vedevano solo la mia disabilità. Non mi hanno chiesto come andava la mia vita, se lavoravo troppo, se provavo dolore, non hanno cercato di capire o approfondire la mia depressione. Hanno solo pensato: “Soffre, è su una sedia a rotelle: è ovvio che voglia morire”. Loro mi hanno dato la possibilità di scegliere, è vero, e nello stesso istante in cui mi hanno offerto questa possibilità hanno svalutato la mia vita».
Dietro una richiesta di morire, infatti, c’è un grido inespresso che chiede amore, considerazione, aiuto. Sta a noi coglierlo e offrire ai sofferenti tutta la vicinanza e le cure di cui necessitano, o ignorarlo e abbandonarli a una “scelta” finale da cui non potrebbero tornare indietro.
di Luca Scalise