Il dibattito sul fine vita è in continua evoluzione e prosegue a intrecciarsi con una pluralità di interrogativi etici, scientifici, sociali e culturali. Un punto della situazione è stato fatto sabato scorso, al convegno La Fine ed il fine della Vita, promosso dall’Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti (UCID) e tenutosi a Roma, al Palazzo della Cooperazione. Il punto di vista degli ecclesiastici si è confrontato con quello dei medici e dei giuristi, rimanendo sempre su un terreno comune: quello del rifiuto dell’eutanasia, del suicidio assistito e dell’accanimento terapeutico, che si accompagna alla rivendicazione delle cure palliative come diritto.
Monsignor Nunzio Galantino, presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e presidente della Fondazione per la sanità cattolica, ha messo in luce la convergenza tra le problematiche del fine vita e quelle dell’intelligenza artificiale e del transumanesimo. È ormai in gioco «la possibilità per l’uomo di decidere di sé e delle proprie relazioni», ha osservato. A monte di ciò, si riscontra il progressivo slittamento della morte «da fenomeno sociale a fenomeno sempre più privato, collocato per lo più negli ospedali»: un evento sempre più «disumanizzato». Su questo sfondo, l’eutanasia «lungi dall’essere segno di civiltà evoluta rappresenta una risposta socialmente troppo superficiale e sbrigativa». Ne scaturisce un «messaggio falso e deleterio» per cui alcune vite non sono più «degne d’essere vissute» e rappresentano un «peso», anche «economico».
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Come evidenziato da don Antonio Mastantuono, teologo e assistente ecclesiastico nazionale dell’UCID, i sostenitori dell’eutanasia avanzano il «diritto a una fine dignitosa» e lo slogan «liberi fino alla fine». Per quanto accattivanti, le loro argomentazioni sono fallaci: «Quand’è che la vita non è più dignitosa? Quando non vediamo più? Quando mi mancano due arti? Quando il corpo rimane paralizzato ma il cervello è vigile?», ha sottolineato Mastantuono. Il punto è che ogni vita umana è insostituibile e non può essere degradata al rango di un «elettrodomestico» che, quando smette di funzionare, viene rimpiazzato.
Secondo Renato Balduzzi, ordinario di Diritto Costituzionale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, già deputato e Ministro della Salute, urge una «reimpostazione culturale al tema della vita». Al tempo stesso, «non potrà mai esserci una sovrapposizione completa tra prospettiva etica e giuridica», quindi è sostanzialmente impossibile legiferare in ogni ambito della vita. L’alternativa all’«approccio etico relativista» che esalta ad oltranza la libertà dell’individuo, è un «approccio pluralistico», ovvero la «soluzione meno lontana dai valori comuni in cui ci si riconosce», ha affermato il professor Balduzzi. C’è quindi sempre un «nucleo di indisponibilità» che impegna il legislatore e, comunque, in uno «stato democratico e costituzionale né il legislatore, né il giudice hanno l’ultima parola». Serve, piuttosto, ha aggiunto Balduzzi, un «bilanciamento reciproco» tra i vari poteri.
Da parte sua, Christian Barillaro, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cure Palliative al Policlinico “Agostino Gemelli” di Roma, ha illustrato le modalità di applicazione delle stesse cure palliative. Lanciate nel Regno Unito da Cicely Saunders, durante la Seconda Guerra Mondiale, con lo scopo di assistere i feriti, le palliative rispondevano a una nuova logica di accompagnamento integrale. Con questo metodo, si va oltre il semplice rapporto medico-paziente, offrendo un approccio pluridisciplinare, in cui medici, psicologi, infermieri e familiari cooperano, «prendendosi carico del malato nella sua globalità». Si passa così da un cure system a un care system. Le cure palliative promuovono la «qualità della vita» del malato, nel senso più genuino del termine.
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In Italia, le cure palliative sono state sperimentate per la prima volta nel 1987, con il primo hospice a Brescia, inaugurato dal dottor Giovanni Zaninetta. La vera svolta è stata nel 2010, con l’approvazione all’unanimità della legge 38, che istituzionalizza le cure palliative, codificandole come un vero e proprio diritto e inserendole nei Livelli Essenziali di Assistenza. «Le cure palliative – ha spiegato il dottor Barillaro – oggi rappresentano il più alto livello di complessità della cura. Per le patologie croniche si muore per lo più in ospedale, tuttavia, l’intervento precoce riduce in modo significativo i costi ospedalieri».
È infine intervenuto il vicepresidente vicario dell’Associazione Italiana Medici Cattolici, Franco Balzaretti, che ha preso atto del vero nucleo della sfida attuale. «La cultura dominante – ha detto – vorrebbe considerare il medico un “tecnico della sanità”»: un riduzionismo che, comunque, «non deve espropriarci della nostra professionalità, né della nostra coscienza». Mentre un tempo, il medico agiva essenzialmente «in scienza e coscienza», oggi, con la gran quantità di leggi e norme deontologiche vigenti, egli è ben più vincolato e deve confrontarsi con la «cultura della morte», che pretende di eliminare la sofferenza assieme al sofferente. All’eutanasia, ha concluso Balzaretti, va contrapposta l’eubiosia, un «nuovo umanesimo del vivere e del morire» finalizzato a «ricostruire una cultura di amore alla vita».