“Il dovere della società di fronte alla sofferenza”. Di questo si parlerà mercoledì 9 febbraio 2022, nel corso del grande convegno per la Vita e contro la deriva eutanasica organizzato da Pro Vita & Famiglia ed Euthanasia Prevention Coalition, che si terrà a piazza Montecitorio, nella Sala Capranichetta dell’Hotel Nazionale alle ore 10:30.
Scopri il programma e iscriviti per guardare la diretta streaming [clicca qui]
Tra gli ospiti relatori anche il vicepresidente del Centro Studi “Rosario Livatino”, Alfredo Mantovano. Proprio con il magistrato abbiamo dialogato sulla netta differenza che c'è tra i contenuti del Testo Unico sul suicidio assistito in discussione alla Camera e il referendum sull’eutanasia proposto dai Radicali. L’uno non esclude affatto l’altro e sembra quindi non avere alcun senso sostenere l’approvazione di una legge, come “male minore” in grado di arginare le possibili derive di una consultazione referendaria. Per chiarire i termini della questione, proprio Mantovano ai nostri microfoni ha smentito anche il luogo comune secondo il quale il varo di una legge, come sollecitato dalla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, dovrebbe concretizzarsi necessariamente con una soluzione eutanasica.
Dottor Mantovano, in primo luogo quali sono le differenze contenutistiche tra il disegno di legge in discussione attualmente alla Camera e il referendum su cui si dovrà pronunciare la Consulta?
«Prendendo in mano una qualsiasi edizione del Codice Penale aggiornato, si attesta tuttora che l’articolo 579 è qualcosa di diverso dall’articolo 580. Ho quasi disagio a dire una cosa così ovvia ma il primo dei due articoli, che è oggetto del quesito referendario, riguarda l’omicidio del consenziente, ovvero la possibilità di togliere la vita a una persona sulla base della disponibilità della vittima e dell’espressione del suo consenso. Il referendum riguarda esclusivamente questo. Il testo Bazoli in discussione alla Camera, invece, si propone – non solo nelle dichiarazioni del relatore ma dallo stesso articolato – di dare attuazione alla sentenza n. 242 del 2019 della Corte Costituzionale che ha avuto per oggetto l’articolo 580 del Codice Penale, cioè l’aiuto al suicidio. Due cose completamente diverse, quindi. Entrambe hanno in comune il fatto di occuparsi del fine-vita ma sotto prospettive non sovrapponibili».
È fuori luogo, quindi, la vulgata secondo la quale, l’approvazione della legge neutralizzerebbero il referendum?
«Se si volesse portare avanti il testo Bazoli come qualcosa che, se approvato tempestivamente, eviterebbe il referendum, si farebbe un grosso errore. Premesso che un discorso del genere sarebbe prematuro, perché bisognerà vedere come si pronuncerà la Corte Costituzionale il 15 febbraio, quando sarà chiamata a valutare l’ammissibilità del quesito referendario, un referendum si evita solo se si modifica la norma che è oggetto di quel referendum. Poiché il testo Bazoli riguarda un’altra norma del Codice Penale, che passi o meno, non incide minimamente sul quesito referendario. Non si tratta, quindi, di qualcosa fuori luogo ma, semplicemente, di qualcosa di sbagliato. Se fosse fuori luogo, implicherebbe una valutazione di opportunità ma le considerazioni che sto facendo riguardano la correttezza giuridica del percorso che viene descritto. Approvare la legge Bazoli per evitare il referendum sull’omicidio del consenziente significherebbe fare qualcosa di sbagliato, al di là di come la si pensi sia riguardo il quesito, sia riguardo la legge».
Nel caso in cui, il testo Bazoli venisse respinto, il Parlamento sarebbe comunque tenuto ad approvare una legge per dare compimento alla sentenza della Corte Costituzionale?
«A riguardo vanno fatte tre considerazioni. La prima è che la Corte Costituzionale dichiara in parte costituzionalmente illegittimo l’articolo 580 del Codice Penale, se una condotta di agevolazione al suicidio avviene in presenza delle quattro condizioni indicate dalla Corte stessa: sofferenza ritenuta intollerabile; previo ricorso alle cure palliative; piena volontà; consapevolezza del diretto interessato. È una sentenza un po’ singolare perché modellata sul caso Cappato. Non c’è dunque una disciplina dell’aiuto al suicidio ma una verifica se ci siano le condizioni per una legge che modifichi l’articolo 580 del Codice Penale. La sentenza della Consulta va letta nella sua interezza: sappiamo bene che le cure palliative sono disciplinate dalla legge 36/2010, quindi il primo e più coerente modo per dare attuazione a quella sentenza sarebbe trovare risorse finanziarie adeguate, perché finalmente questa legge possa avere attuazione. Sono passati dodici anni ma di cure palliative oggi si parla soltanto in qualche centro di eccellenza. Ciò non è avvenuto perché è mancato un adeguato finanziamento. Il primo terreno di intervento coerente con la decisione della Corte Costituzionale dovrebbe essere quindi quello di dare finalmente attuazione a una legge varata ormai dodici anni fa».
Quale sarebbe, invece, il secondo terreno di intervento per dare attuazione alla sentenza della Consulta?
«Bisognerebbe dare aiuto non soltanto in termini di attenuazione del dolore ma di affiancamento della persona che vive questa condizione di grave disagio personale. Un paio di anni fa si iniziò a parlare della legge sui caregiver ma il discorso non ha avuto nessuna traduzione concreta, nonostante le cospicue risorse investite ovunque a debito in questi due anni».
E il terzo aspetto?
«Il Parlamento non dovrebbe essere visto come il dattilografo della Corte Costituzionale ma come un’istituzione che certamente non ignora il dettato della Corte ma che poi ha una sua autonomia nel decidere come attuarlo. Può, cioè, scegliere se darvi attuazione “anche nelle virgole” oppure anche in modo non completamente conforme al dettato della Corte. È quello che fa, ad esempio, la proposta Pagano che mantiene il giudizio di illiceità di qualsiasi condotta che tolga la vita a una persona o che aiuti a togliere la vita, considerando però il reato in misura meno grave sulla base dei contesti e delle situazioni concrete. Nella stessa sentenza della Corte Costituzionale si trovano più passaggi in cui si dice che la vita va tutelata soprattutto in situazioni di difficoltà. Pur con l’intenzione di tradurre in articoli di legge la sentenza della Corte Costituzionale, il testo Bazoli in realtà va molto oltre perché, ad esempio, non conferisce carattere pregiudiziale al ricorso alle cure palliative o perché configura l’obiezione di coscienza in termini assolutamente diversi rispetto a quelli immaginati dalla Corte Costituzionale. Per cui bisogna decidere se dare o meno attuazione precisa e dettagliata a questa sentenza. Se però il testo Bazoli va oltre, credo sia lecito per le forze politiche che non condividano questa deriva proporre una strada diversa e la proposta Pagano va in questa direzione».
Scopri il programma dell'evento e iscriviti per guardarlo in streaming [clicca qui]