03/02/2017

Eutanasia – Medici che dicono NO al ddl sulle DAT

È lapidario il parere degli illustri professori universitari intervenuti ieri pomeriggio alla conferenza stampa che si è tenuta alla Camera dei Deputati sull’eutanasia travestita da DAT.

I presidi delle facoltà di Medicina delle principali Università romane, Sebastiano Filetti (La Sapienza), Giorgio Minotti (Campus Biomedico), Antonio Pisani (vice preside a Tor Vergata) hanno detto che il ddl che vuole legalizzare l’eutanasia è sotto ogni aspetto da rigettare: è la negazione assoluta della professione medica.

La conferenza è stata organizzata dai deputati, pochi ma determinati e coesi (pur appartenendo a schieramenti politici per molti versi distanti tra loro), che stanno dando battaglia a favore della vita in Commissione XII (affari sociali) dove si sta esaminando il testo che doveva essere portato in aula il 30 gennaio u.s. e che invece è slittato al 20 febbraio prossimo. Essi fronteggiano il PD, il Movimento 5 Stelle e SEL, che – divisi e litigiosi tra loro e al loro interno in ogni circostanza – su questa proposta di legge formano una maggioranza compatta.

Hanno scelto di non fare ostruzionismo: vogliono discutere e far riflettere sulle implicazioni della normativa in esame, affinchè sia ben ponderata la sua portata, le sue conseguenze e sia possibilmente emendata.

Si tratta degli onorevoli (in ordine alfabetico): Paola Binetti (Udc), Raffaele Calabrò (Ap), Benedetto Fucci (Cor), Gian Luigi Gigli (Des-Cd), Domenico Menorello (Sc), Alessandro Pagano (Lega), Antonio Palmieri (Fi) , Eugenia Roccella (Idea).

Riassumiamo qui i punti salienti emersi dalla relazione dei professori universitari e dagli interventi dei politici presenti (Binetti, Calabrò, Fucci, Gigli, Menorello, Pagano, Roccella).

Il ddl pro eutanasia prevede che «le convinzioni e le preferenze» (art.3) del paziente siano obbligatorie e vincolanti per il medico. Quindi non solo le “DAT” (il testamento biologico), ma qualsiasi disposizione del paziente diverrebbe vincolante per il dottore.

Se fosse varata una tale norma giuridica, sarebbe lo svilimento, la fine della professione medica. Il rapporto umano, l’alleanza che si crea (o che si dovrebbe creare) tra medico e paziente sarebbe irrimediabilmente minata. Non si tutelerebbe il diritto del malato a essere curato, ma il suo “diritto a non essere curato, oppure a non essere curato secondo ciò che il medico, in scienza e coscienza, ritiene utile o persino necessario.

Da più di 20 secoli i medici vengono formati al servizio della vita. Agli studenti di medicina si insegna a curare. Ora bisogna insegnar loro a eseguire “le preferenze” del paziente, anche se deleterie alla salute del paziente stesso?

I rapporti tra medico e paziente si sono evoluti. Sono finiti i tempi in cui i pazienti non venivano adeguatamente informati e preparati sui trattamenti sanitari che il medico propone. Probabilmente a livello pratico, operativo, c’è ancora margine per migliorare la qualità del rapporto, ma una legge per il consenso informato non serve. Già da anni la professione medica si forma, e informa, in questo senso. Se il medico – come vorrebbe il ddl che introduce l’eutanasia – è obbligato a fornire solo i trattamenti sanitari che il paziente desidera, l’ospedale è ridotto a una sorta di supermercato.

E poi chi forma, oggi, l’opinione del paziente, da cui nascono le sue  «convinzioni e preferenze»? I media? Internet? I social? Quanto le convinzioni e preferenze del paziente possono essere influenzate da condizioni culturali, personali, sociali, economiche, familiari? E  quanto la malattia stessa o la depressione (e la depressione spesso accompagna le varie patologie più serie) influenza le «convinzioni e preferenze» del paziente? E, allora, la scelta del paziente è davvero libera? È davvero frutto di quell’autodeterminazione di cui i cultori dell’eutanasia si dicono paladini?

Così com’è, il principio di subordinazione della scienza del medico al desiderio del paziente contenuto nel ddl pro eutanasia è un principio di portata universale che potrebbe addirittura obbligare il dottore a praticare non solo l’eutanasia, ma – al contrario – anche l’accanimento terapeutico.

Certamente, il ddl  non solo costringe il medico ad assecondare un eventuale istinto suicidario del paziente, ma impone di realizzarlo con le strutture e i mezzi del Servizio Sanitario Nazionale

È stato poi chiarito e ribadito che la somministrazione di cibo e acqua in  qualsiasi caso, e a qualsiasi tipo di paziente, non può mai essere considerata un trattamento sanitario (come vorrebbe la proposta di legge pro eutanasia). E qualsiasi testamento biologico non può avere un valore assoluto: in poco tempo possono cambiare le «convinzioni e preferenze» del paziente, anche perché la medicina, le terapie e i rimedi – soprattutto quelli connessi alle patologie oncologiche – si evolvono in continuazione e quindi si prospettano nuove strade e nuove possibilità da prendere in considerazione.

Gli intervenuti attendono con impazienza una presa di posizione critica anche da parte dell’Ordine dei Medici (e qualcuno si stupisce che non sia già intervenuto).

Il ddl pro eutansia è una proposta di  legge dannosa, ideologica e scritta male, di cui – tra l’altro – non si capisce l’urgenza, in un momento tanto difficile per il nostro Paese. Forse il PD di Renzi cerca solo l’incidente parlamentare con il suo alleato di governo per andare alle tanto sospirate elezioni.

Va da ultimo fatto cenno alla testimonianza dell’avvocato Francesco Napolitano, uno dei fondatori di Casa Iride e dell’Associazione Risvegli onlus, per pazienti in stato di minima coscienza. Ha denunciato con forza come il delicato equilibrio tra malati, famiglie e personale sanitario sia complicato e danneggiato da una proposta di legge come questa.

Infatti, il rapporto tra medico, paziente e familiari è un rapporto fiduciario, che attiene alla sfera privata, dell’etica, non al campo legale, non sopporta l’ingerenza dello Stato. La legge deve starne fuori, non può pretendere di dettare regole in una sfera dell’umano che non ha niente a che fare col diritto. A meno che non si tratti di uno Stato totalitario che non rispetta in alcun modo la sfera personale dell’individuo. Non se ne rendono conto i cultori della morte (per eutanasia), che si dicono paladini dell’autodeterminazione?

Francesca Romana Poleggi


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