Nessun compromesso con la cultura della morte. Qualunque impegno legislativo sul fronte del fine vita è ammissibile soltanto se si promuove una cultura della vita, della vicinanza e della cura. Sull’attuale dibattito in merito ad eutanasia e suicidio assistito, Pro Vita & Famiglia ha raccolto il parere di monsignor Regattieri, vescovo di Cesena-Sarsina, che, per l’occasione, ha raccontato la sua personale esperienza pastorale accanto ai morenti e ai malati gravi.
Eccellenza, sta seguendo il dibattito attuale sull’eutanasia? Cosa ne pensa?
«Ricorrerei subito alla nostra Costituzione che all’art.32, comma 2°, afferma: “La legge non può in nessun modo violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. La persona è sacra e sacra è la vita anche quando sta per spegnersi, in qualsiasi situazione umana venga a trovarsi. L’omicidio assistito – perché di questo si tratta con la proposta del referendum per la abrogazione parziale dell’art. 579 del Codice Penale – mai può diventare una buona azione».
A tale scopo, i Radicali hanno rilanciato la loro arma di sempre, il referendum, per il quale vantano di aver raccolto 750mila firme. Ritiene che questo risultato sia realmente il segnale di un’avanzata della cultura della morte in Italia?
«È proprio vero quello che papa Francesco va ripetendo a ogni piè sospinto: la cultura dello scarto sta prendendo il posto della cultura della cura e della vita. C’è, inoltre, un’incapacità di comprendere il significato del dolore e della sofferenza. Senza andare a cercarla o invocarla, la sofferenza fa parte della vita umana; è importante saperla affrontare con coraggio e con maturità umana. La fede cristiana, poi, le dà un colpo d’ala facendola assurgere a veicolo di salvezza. Hanno scritto i vescovi italiani: “Chiunque si trovi in condizioni di estrema sofferenza va aiutato a gestire il dolore, a superare l’angoscia e la disperazione, non a eliminare la vita. Scegliere la morte è la sconfitta dell’umano”».
Sul fronte parlamentare, invece, è lecito accettare mediazioni? Ritiene, cioè, che sia realizzabile una legge sul fine vita rispettosa della vita fino all’ultimo istante?
«Legalizzare l’omicidio del consenziente: questo è l’intento dei promotori del referendum. Si passerà così dall’aiuto al suicidio all’omicidio diretto di una persona. Un tale intento non credo che possa trovare mediazioni, accordi o compromessi. Qui siamo in un campo dove è impossibile ogni compromesso, pena il venir meno alle proprie convinzioni umane e cristiane. Se aiutare con ogni mezzo le famiglie e i parenti a gestire al meglio situazioni di estrema sofferenza è cercare mediazioni, allora sì: ben vengano questi sforzi. Allora l’alternativa al dare la morte è lavorare di più sulle cure sia sul piano medico che umano; favorire una ricerca scientifica sempre più orientata ad alleviare le sofferenze, evitando di cedere alla tentazione di voler eliminare totalmente il dolore».
Nella sua esperienza sacerdotale, qual è il suo approccio alle persone morenti (ad esempio, nel sacramento dell’unzione degli infermi)? Le è mai capitato di parlare con persone tanto sofferenti da desiderare la morte e - in tal caso - cosa ha detto loro?
«“Che il Signore mi venga a prendere presto”: è un’espressione che affiora spesso sulle labbra di malati terminali, quando possono ancora parlare. È un desiderio lecito. Non va demonizzato. Se questa frase è detta nella prospettiva di accogliere comunque il disegno di Dio a noi spesso misterioso e sconosciuto, mi pare alla fine che sia una bella espressione. Diverse volte mi è capitato – nella vita pastorale – di stare accanto al letto di persone che ‘vegetavano’. Ma erano vive! Con gli strumenti moderni messi a disposizione della tecnica, essi possono persino parlare, con gli occhi, scrivere e comunicare. Mi è capitato l’altro giorno in una parrocchia. Costretta al letto da anni, la persona mi parlava con gli occhi e con gli occhi scriveva sulla tastiera! Incredibile. E la parola più ricorrente era: grazie, grazie! Sono certo di avergli offerto un momento di gioia e di serenità. E io stesso ne ho tratto giovamento spirituale. Un’esperienza che sarebbe stata preclusa a me e alla persona interessata se qualcuno – disgraziatamente – avesse staccato la spina».