Il 73% degli italiani sarebbe favorevole all’eutanasia. Ad affermarlo è una recente ricerca dell’Eurispes. Se però si va a discernere i criteri di ricerca e i contenuti specifici delle singole domande, si scopre una realtà un po’ diversa. Almeno il 60% degli italiani, ad esempio, si dichiarano contrari al suicidio assistito, diverso dall’eutanasia soltanto nella modalità ma non certo nella sostanza. Senza contare le innumerevoli riserve espresse da quel 73% di favorevoli, vi è addirittura un 77,5% di intervistati che ammetterebbe l’eutanasia soltanto in caso di «coma irreversibile», ovvero di morte cerebrale, considerata dalla maggior parte della letteratura scientifica come morte tout court.
Anche se i dati Eurispes non si prestassero a così tanti equivoci e ambiguità, rimarrebbero comunque molto discutibili. Ne è convinta la dottoressa Silvana De Mari, medico, blogger, scrittrice e attivista pro life. A colloquio con Pro Vita, la De Mari ha sostenuto che il parere degli italiani sull’eutanasia cambierebbe notevolmente segno, se si mostrasse loro gli effetti di un’agonia per disidratazione procurata, mediante la quale furono fatte morire Terry Schiavo ed Eluana Englaro.
De Mari, quanto sono credibili i dati Eurispes sull’opinione degli italiani sull’eutanasia? È verosimile che il 73% la ammetta?
Tutti sappiamo che la raccolta dati può cambiare molto a seconda del campione che viene esaminato. Ma se anche questo dato fosse esteso a tutta la popolazione, si tratta di persone che non hanno avuto tutte le informazioni necessarie a capire cosa sta succedendo.
Perché?
Il fatto che alcune persone siano state fatte morire per disidratazione è stato addirittura fatto passare come una festa della dignità umana. Quindi, dato che si aggiunge alla discussione politica un enorme quantitativo di narrazioni – film, serie TV, romanzi – dove si invoca tutto questo, le persone sono molto confuse. I casi di Charlie Gard e di Alfie Evans, i due bambini che non hanno avuto il permesso di essere accompagnati fino alla fine naturale della loro vita, lo dimostra drammaticamente. Le persone non sono informate sull’aborto, non hanno mai visto le foto dei corpicini dei feti; non sono informate sull’eutanasia, non hanno mai visto le foto di Terry Schiavo o di Eluana Englaro mentre morivano di disidratazione. Quindi mancano delle informazioni. Dove le informazioni sono sotto censura, l’opinione pubblica è poco rilevante. Sono assolutamente certa che, nella misura in cui noi mostrassimo agli italiani le fotografie di qualcuno che sta morendo di disidratazione, i contrari salirebbero al 98%.
Dietro l’eutanasia ci sono interessi economici?
Assolutamente sì. C’è un enorme interesse economico perché il malato costa. Quando passammo al sistema mutualistico, ci sembrò una bella cosa, perché anche i poveri potevano essere curati ma così, in realtà, abbiamo dato allo Stato un potere enorme. E a questo punto, lo Stato decide se la nostra vita vale la pena di essere vissuta o meno. Potrebbe capitare a chiunque di noi o a una persona che amiamo contro la nostra volontà.
Un’argomentazione usata dai sostenitori dell’eutanasia: si eviterebbero inutili sofferenze per il malato…
Per quanto riguarda la morte per disidratazione, è necessario distinguere tra dolore e sofferenza, spesso erroneamente intesi come sinonimi. Il dolore è una reazione e una percezione fisica mediata dal fascio spino-talamo-corticale, mentre la sofferenza è l’elaborazione mentale del dolore. Ad esempio: se noi abbiamo fatto molti addominali, il giorno dopo gli addominali ci faranno un po’ male. Questo è dolore ma non sofferenza: saremo fieri di aver fatto ginnastica così bene. Se invece lo stesso dolore dei muscoli indolenziti ce l’ho perché sono prigioniero in un lager o in un gulag e so che, il giorno successivo, a causa di quei muscoli indolenziti, io non riuscirò a lavorare, quindi verrò picchiato o ucciso, lì, invece, diventa sofferenza.
Il dolore di un parto fisiologico che sta andando bene, con l’ostetrica che dice: “coraggio, signora, i capelli sono già fuori, ancora qualche spinta…”, è dolore puro e semplice. Il dolore da cancro, invece, è sofferenza. Anche ammesso che i morenti per disidratazione non percepiscano sofferenza (il che è tutto da dimostrare), sicuramente percepiscono dolore. Se poi il loro cervello (di cui non sappiamo nulla, perché la branca della medicina più incerta è quella cerebrale) è in grado di percepire qualcosa, allora queste persone saranno morte nella sofferenza. Questo apre la “finestra di Overton” su quali vite valgano la pena di essere vissute e sul fatto che lo Stato decide quali vite valga la pena vivere e quali no. Questo è terribilmente pericoloso.
Luca Marcolivio