Dopo la sentenza della Corte costituzionale sulla non punibilità del suicidio assistito in alcuni casi, in Italia uno dei temi più caldi è quello relativo al fine vita. Ci si chiede, dunque, se sia cosa buona o meno la legalizzazione di eutanasia e suicidio assistito.
Chi sostiene queste pratiche afferma che esse tutelino l’autodeterminazione di colui che le richiede e che assicurarne la possibilità sia quanto di più compassionevole si possa concedere ad un sofferente. Così, si è iniziato a pensare all’eutanasia prima per i malati terminali, poi per i malati gravi, poi per i disabili, poi per i depressi, per le persone affette da demenza, poi indiscriminatamente “per vita completata”, per chiunque da una certa età in poi ritenga che la sua vita sia finita, ed ora che l’eutanasia è diventata pensabile per tutte queste categorie di persone, si sta iniziando a premere per l’eutanasia per bambini.
Ne abbiamo parlato recentemente in ben due casi: sia l’Olanda che il Canada stanno spingendo per la legalizzazione dell’eutanasia anche per i più piccoli. Come leggiamo su NBCM News, l’attivista americano pro life Wesley Smith ben commenta questo fenomeno, affermando che «Una volta che viene resa libera la possibilità dell’eutanasia, non smette mai di espandersi».
Smith si dice preoccupato per la popolazione canadese, da quando sempre più persone ritengono che «uccidere sia una risposta accettabile alla sofferenza umana», specie dal momento che uno studio della Canadian Paediatric Society (CPS) ha mostrato un aumento della richiesta di eutanasia da parte dei genitori per i loro figli.
Anche Alex Schadenberg, direttore esecutivo della Coalizione per la prevenzione dell'eutanasia, è della stessa opinione secondo cui, aperto uno spiraglio all’eutanasia, questa diventa inarrestabile. Una legge che consentisse questo sarebbe discriminatoria nei confronti dei bambini, per cui sarebbero i genitori a scegliere per loro la morte, e darebbe «ai medici l'impunità di iniettare sostanze letali a neonati disabili, come quelli con spina bifida o idrocefalo».
Si vorrebbe giustificare tutto questo con la compassione verso i bambini malati ed i loro genitori. Ma è vera compassione dare la morte a un bambino? Non sarebbe, piuttosto, il caso di rendere più accessibili le cure palliative e l’assistenza psicologica, tanto per i genitori, quanto per il piccolo?
La risposta alla sofferenza è l’aiuto a non soffrire, o a soffrire di meno, non a morire.
di Luca Scalise