La proposta di legge sulle DAT, che di fatto legalizza l’eutanasia, è una legge ingiusta, quindi una non-legge, da qualsiasi punto di vista la si analizzi.
Ma tra le tante criticità che abbiamo sin qui rilevato, ce n’è una sulla quale non ci siamo ancora soffermati. Ne parla un illustre giurista del Centro Studi Rosario Livatino, su Tempi del 27 maggio scorso, Alfredo Mantovano.
Per un’analisi approfondita dell’aberrante proposta di legge, rimandiamo i Lettori allo studio analitico di un altro illustre magistrato, Giacomo Rocchi, che stiamo pubblicando su questo sito a puntate.
Nell’ordinamento giuridico italiano la legge prevede che alcuni negozi giuridici siano “formali”, cioè una certa forma (scritta e spesso davanti al notaio) sia necessaria alla validità dell’atto. Quando è previsto un atto pubblico, la stipula del contratto è anche piuttosto costosa: ciò è teso innanzi tutto a far riflettere bene le parti contraenti nel momento in cui dispongono di un loro diritto o assumono un obbligo importante.
Spiega Mantovano: «Volete vendere la vostra vecchia automobile, del valore di qualche centinaio di euro? Dovete comunque ricorrere all’atto pubblico, cioè spendere denaro e compiere qualche adempimento formale. Pensate di disfarvi di un garage intestato alla nonna, che in famiglia non serve a nessuno? Tra visure catastali e atti notarili, inclusa la procura a vendere della proprietaria magari inabile, la questione è ancora più complicata e onerosa. Avete deciso di disporre della vostra vita con una dat? E che problema c’è? Bando alle forme!»
Insomma, per chiedere l’eutanasia basta un pezzo di carta qualsiasi.
Infatti, il comma 7 dell’articolo 4 recita: «Le regioni che adottano modalità telematiche di gestione della cartella clinica (…) possono, con proprio atto, regolamentare la raccolta di copia delle dat, compresa l’indicazione del fiduciario, e il loro inserimento nella banca dati, lasciando comunque al fiduciario la libertà di scegliere se darne copia o indicare dove esse siano reperibili».
Insomma, spiega Mantovano: « Mentre per trasferire un rudere o un veicolo da rottamare è sempre necessario il notaio, per decidere della vita o della morte di una persona basta, in alternativa all’atto pubblico, una scrittura privata autenticata o addirittura un foglietto firmato da consegnare al comune.
La logica della legge è che la vita conta meno della vettura e del box che la custodisce.
Esagerazione? Mica tanto, se il principio ispiratore della legge stessa è che, per la prima volta in Italia, la vita è un bene disponibile, in contrasto col principio della indisponibilità inscritto nella Costituzione e nel complesso delle leggi ordinarie, all’interno di una tradizione ininterrotta di civiltà giuridica».
La legalizzazione dell’eutanasia abbatte uno dei pilastri su cui poggia il nostro ordinamento giuridico, quindi: l’indisponibilità del diritto alla vita.
Il magistrato scrivente ci invita a riflettere: «Meno di un anno fa sul lungotevere Flaminio, a Roma, la proprietaria di un appartamento all’ultimo piano di un edificio degli anni Trenta pensò bene di eliminare un pilastro per realizzare una ristrutturazione. Il pilastro fu tolto solo dalla sua abitazione, ma dopo un po’ crollò l’intero palazzo. L’ordinamento giuridico non funziona in modo diverso: se elimini una colonna fondante, ti dà anche l’impressione di un open space alla moda. Ma poi frana. E le pietre rovinano su tutti.»
Redazione
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