In Gran Bretagna la Corte Suprema ha stabilito che non è più necessaria l’autorizzazione del giudice per procedere all’eutanasia dei pazienti in stato vegetativo. Sarà dunque possibile staccare i tubi di alimentazione e idratazione, anche contro la loro volontà.
Attenzione: non stiamo parlando di persone “cerebralmente morte” (senza contare che c’è chi è convinto che la “morte cerebrale” non esista), ma di persone vive, non moribonde, né con patologie acute, anche se gravemente handicappate.
In Uk è ormai sufficiente l’accordo tra famiglie e medici per praticare l’eutanasia (che è molto poco “eu”, “bella”: a morire di fame e di sete ci vogliono giorni e giorni ed è dolorosissimo). L’intervento della Court of Protection, l’organo che per 25 anni si è pronunciato sui casi di questo tipo, era stato pensato per garantire che il distacco dei macchinari avvenisse “nel miglior interese del paziente”, e non per motivi emozionali o – peggio – utilitaristici: guarda caso, quando si sollevano questioni sul diritto di vivere dei pazienti in coma – vedi il caso Lambert, o il caso di Terri Schiavo – i coniugi (eredi) sono per l’eutanasia, i genitori vi si oppongono...
Ma evidentemente ha giocato un ruolo importante nella decisione del tribunale il fatto che, dato che costa circa 100.000 sterline all’anno prendersi cura di una persona in stato vegetativo o di minima coscienza, il potenziale “risparmio” per il NHS potrebbe arrivare a 2,4 miliardi di sterline l’anno se queste persone vengono eliminate. E abbiamo potuto già vedere come si atteggia il Servizio sanitario di Sua Maestà nei confronti di chi i propri cari vuole continuare a curarli (vedi i casi di Charlie, Isaiah e Alfie). Insomma: per far morire gli handicappati con l’eutanasia basterà la stretta di mano tra parenti e medici; per continuare le cure bisognerà scalare il calvario giudiziario e mediatico (e sappaimo bene i giudici inglesi, poi, da che parte stanno).
Le neuroscienze (e gli scienziati onesti, come Adrian Owen) hanno scoperto (nel tempo) che almeno un paziente su cinque di quelli etichettati come “vegetativi o non reattivi” (senza speranza) in realtà può vedere, ascoltare e capire cosa succede intorno a lui, ma non è in grado di comunicare con il mondo esterno. E il passaggio dallo stato vegetativo allo stato di minima coscienza (cioè un risveglio significativo) può avvenire senza che i medici neanche se ne accorgono (infatti nel caso di Salvatore Crisafulli i parenti hanno dovuto penare parecchio per farsi dar retta).
Possiamo provare a immaginare cosa significhi per queste persone sentir dire intorno a sé che nel loro “miglior interesse” è bene che muoiano. Di fame e di sete. Quelli che sono stati in grado di comunicare hanno testimoniato di essere ben felici di continuare a vivere, con la speranza di migliorare, con l’affetto dei propri cari e con un’assistenza decente.
Nel dubbio, comunque meglio ammazzarli. Nel Regno Unito da oggi l’eutanasia sarà più facile. A prescindere da quel che prova e sente il condannato a morte. In Italia? Con la legge sulle DAT è anche peggio: se il “fiduciario” o il rappresentante lo chiede, i medici devono sospendere cibo e acqua, anche se il poveraccio vorrebbe ritrattare il biotestamento fatto magari anni prima. Non ha voce per dirlo? Crepi.
Con buona pace dell’autodeterminazione.
Redazione
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