«Avrai una brutta morte se non ti suicidi». È questo il senso della campagna “Dignity in Dying Scotland”, portata avanti dai sostenitori dell’eutanasia e del suicidio assistito in Scozia, come spiega un articolo di Life News.
Una tattica niente male per spingere gli anziani a togliersi di mezzo è proprio quella di tartassarli con questo terrorismo psicologico. Così, il fatto che «11 scozzesi malati terminali potrebbero "soffrire intollerabilmente" nelle loro ultime settimane e mesi» dovrebbe convincere le persone, specialmente le più vulnerabili, specialmente chi, a causa dell’età, si avvicina alla morte, a scegliere il suicidio assistito.
Non ci vuole una laurea per capire che è sleale e disonesto scatenare il panico, approfittando delle difficili condizioni in cui vertono i sofferenti, per influenzarli più facilmente. Ma riflettiamo sull’argomentazione in sé.
L’unico rimedio per non provare queste sofferenze intollerabili è il suicidio? Stroncare direttamente la vita sarebbe la soluzione migliore? Esistono le cure palliative, le terapie del dolore, che consentono di alleviare le sofferenze senza anticipare brutalmente l’ora della morte.
Perché non facilitare, piuttosto, l’accesso a queste cure ed a tutte le altre forme di assistenza fisica, psicologica e morale, invece di spingere le persone a chiedere la morte? Perché questo fa comodo alle grandi industrie della morte, alle famose cliniche dove si praticano eutanasia e suicidio assistito, dicendo di avere “compassione” di chi si rivolge a loro.
Altro che compassione, il malato (spesso non consenziente quando gli viene praticata l’eutanasia) è trattato come un rifiuto da smaltire, come uno “scarto”, come direbbe Papa Francesco.
È per questo che il messaggio della campagna #NOEUTANASIA di Pro Vita & Famiglia è “Eliminiamo la sofferenza, non il sofferente”, perché ognuno di noi ha un valore inestimabile fino all’ultimo momento della sua vita e merita tutto l’amore e le cure necessarie a soffrire il meno possibile.
di Luca Scalise