Sul fine vita sta mancando un vero dibattito e ciò rischia di portare abbondante acqua al mulino dell’eutanasia legale nelle sue varie forme. Un dibattito adeguato su questi temi, tuttavia, può aver luogo soltanto se si ha come stella polare la sacralità della vita. Pro Vita & Famiglia ha affrontato la tematica con monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia-Sanremo, che ha espresso il suo parere sugli ultimi sviluppi legislativi e giudiziari.
Eccellenza, come valuta l’evoluzione del dibattito sul fine vita, dopo la bocciatura dei referendum dei Radicali e l’approvazione del ddl Bazoli alla Camera?
«Dal punto di vista legislativo, registro con assoluto favore l’intervento della Corte Costituzionale che ha bocciato i referendum: lo ritengo la testimonianza di buona riflessione dal punto di vista etico e speculativo. Credo, però, che la linea di pensiero che vuole portare all’approvazione dell’eutanasia, purtroppo, arriverà in qualche modo a prevalere. C’è un livello più sostanziale della questione del fine vita, comunque, che richiede un approfondimento dal punto di vista etico, filosofico, morale e anche religioso. Credo sia un ambito in cui è necessario continuare a promuovere i valori autentici relativi alla dignità umana e alla sacralità della vita».
Alla Camera, il disegno di legge sulla “morte medicalmente assistita” è stato approvato in tempi straordinariamente rapidi: i suoi sostenitori hanno sostanzialmente impedito un vero dibattito. È segno che sono in malafede o che, comunque, non hanno grandi argomenti?
«Credo proprio di sì, tanto più che la formulazione della stessa proposta di referendum, poi bocciato dalla Corte Costituzionale, già al momento della raccolta delle firme, è stata fatta in una modalità mendace perché, in realtà, il referendum, collocandosi nel nostro quadro normativo, può essere solo abrogativo. Quindi, se tecnicamente il referendum si configurava come una proposta di depenalizzazione parziale della cooperazione al suicidio o dell’omicidio del consenziente, dal punto di vista della propaganda, invece, veniva fatto passare come uno sdoganamento della “dolce morte”. Questo indica un’attitudine a nascondere la vera realtà delle cose mediante l’utilizzo di linguaggi diversi e adattati al caso. La questione principale, comunque, è soprattutto concentrata sulla presentazione del tema nella sua più profonda verità, cioè se sussista o meno un diritto a darsi la morte. Chiaramente sarebbe necessario un dibattito onesto, che consideri tutti i risvolti della problematica, quando invece tutto è terribilmente ridotto a una questione di diritti individuali, peraltro in modo infondato e ingiusto. Quasi come se la persona, fosse titolata a decidere anche della propria vita, a prescindere da qualsiasi altro riferimento».
No Eutanasia e Suicidio Assistito: difendiamo la Vita!
Tenuto conto che vi sono principi non negoziabili da difendere, fino a che punto si può spingere il dibattito?
«È evidente che, quando si parla di confronto tra posizioni diverse, non significa affermare che, in questo campo, si possa decidere una linea d’azione a maggioranza, come se il bene o il male dipendessero dall’espressione del consenso di una parte o dell’altra. Per dibattito e dialogo, io intendo un confronto leale e aperto sulle questioni, come strada per arrivare a conoscere la verità profonda delle cose».
Come valuta il caso di Fabio Ridolfi, l’uomo che ha chiesto e ottenuto di morire tramite sedazione profonda, a seguito di una battaglia legale, in cui, in suo “soccorso” sono giunti i Radicali?
«È sempre difficile e, a mio parere, inadeguato, discutere di principi che debbono valere per tutti, in un contesto peculiare che, dal punto di vista emotivo, è necessariamente molto coinvolgente e travagliato. La questione non va affrontata in base caso singolo ma in linea di principio. Dal principio, poi, va tradotta coerentemente su tutti i casi singoli. A mio parere, non è una modalità corretta sfruttare il singolo caso, amplificandolo mediaticamente e strumentalizzandolo per trasmettere contenuti di carattere dottrinale ed etico. Certamente, davanti al caso concreto che esprime travaglio, sofferenza e angoscia, il primo sentimento che umanamente si esprime è la pietà, naturalmente astenendosi dalla valutazione del caso personale, in quanto la responsabilità del singolo attinge sempre fondamentalmente alla sua coscienza. In questo caso specifico, la sedazione profonda non è stata utilizzata come cura palliativa, in quanto è stata accompagnata dalla sospensione della nutrizione e dell’idratazione. Poiché la sospensione di tali trattamenti è utilizzata al fine del procurare la morte del paziente, dal punto di vita etico ritengo siamo di fronte a un illecito. Ovviamente ci deve essere un’adeguata proporzione tra l’intervento terapeutico e l’effetto che si vuole ottenere: il singolo caso va valutato in ordine a una molteplicità di situazioni ma non è consentita la riformulazione del principio a cui ho appena accennato: è sempre illecito qualunque atto che abbia come fine diretto ed esplicito quello di procurare la morte».