04/09/2023

Eutanasia: voci dal Canada

Dopo l’entrata in vigore nel 2016 del Medical aid in dying (Maid - Aiuto medico alla morte) con il quale il Canada ha legalizzato il suicidio assistito, il proverbiale “pendio scivoloso” non ha tardato a manifestarsi. Ne abbiamo parlato, per esempio, nel n. 109 di questa Rivista (luglio-agosto 2022). Qui riportiamo alcune storie drammatiche che ci mostrano come il “diritto” di morire sia in realtà, per i più vulnerabili, una condanna a morte.


Se soffri di Mcs devi morire

Denise (nome di fantasia), trentunenne di Toronto, è in sedia a rotelle a causa di una lesione al midollo spinale ed è affetta da sensibilità chimica multipla (Mcs), una condizione scatenata da sostanze come fumo di sigaretta, detergenti e deodoranti che le provocano eruzioni cutanee, difficoltà respiratorie ed emicrania emiplegica, foriera di mal di testa acuti e paralisi temporanea. 

Aveva bisogno di un trasferimento in una nuova casa accessibile alla sedia a rotelle e con l’aria più pulita, ma non è riuscita a trovare nulla che rientrasse nel suo budget (le sue uniche entrate provengono dal programma di sostegno alla disabilità dell’Ontario), così «ho presentato richiesta per il Maid principalmente […] a causa dell’estrema condizione di povertà». Denise racconta che la sua richiesta è stata subito approvata e che i medici della commissione esaminatrice hanno mostrato interesse solo nell’aiutarla a morire: «Durante la valutazione si è parlato pochissimo dei servizi a mia disposizione, di quello di cui avevo bisogno per raggiungere un certo grado di normalità; non mi è stata proposta alcuna forma di sostegno». Fortunatamente la sua vicenda ha avuto un lieto fine: grazie ad alcuni benefattori è riuscita a trovare una nuova casa e lei ha ritirato la richiesta di morte.

Altrettanto bene non è andata a Sophia, un’altra canadese affetta da Mcs (abbiamo raccontato la sua vicenda nella Rivista n. 108 di giugno 2022, p. 36). Sophia è stata uccisa con il Maid a febbraio 2022. Otto giorni prima di morire aveva dichiarato: «Il governo mi vede come spazzatura da buttare, come una lagnosa, inutile rompiscatole».

David Fancy, un professore che si batte per i diritti dei disabili, ha dichiarato alla rete televisiva Ctv News che situazioni come queste non sono rare e rappresentano «solo la punta dell’iceberg». Fancy sostiene che in pratica i disabili sono condannati a morte: «Una porta chiusa dopo l’altra […] il Sistema spinge le persone verso la legislazione esistente che è quella dell’aiuto medico alla morte». Si tratta di una realtà «devastante» per i disabili canadesi, secondo Devorah Kobluk dell’associazione Legal Aid Ontario.

 

Se hai un dolore cronico te ne devi “andare” 

Alan Philips, 63 anni, è un disabile che chiede l’eutanasia non perché voglia morire, ma perché il sistema sanitario canadese lo ha abbandonato. Philips convive con un dolore cronico da vent’anni e da 18 cerca di ottenere il via libera per un intervento di fusione spinale per fissare il disco allentato della colonna vertebrale e bloccare definitivamente il dolore che lo tormenta, ma nessun medico a cui si è rivolto l’ha approvato. Nel frattempo continua a ricevere prescrizioni di oppioidi da assumere giornalmente che «mi friggono il cervello in modo da farmi sopportare lo strazio, ma io soffro lo stesso». «Non riesco a ricevere un’assistenza sanitaria adeguata - afferma Philips. Vengo nutrito con gli oppioidi e mi sento abbandonato. Così ho chiesto di essere ucciso con il Maid e mi hanno risposto: “Certo!”». Invitato a commentare questa vicenda, David Lepofsky, presidente di un’associazione per i diritti dei disabili dell’Ontario, ha dichiarato che il programma Maid è ormai «fuori controllo» e che «il governo federale appare più incline ad agevolare la morte per una disabilità piuttosto che a viverci».

Anche Gwen, madre di una bimba di tre anni, è invalida (a causa di un incidente) e affetta da dolore cronico. Vorrebbe vivere e continuare a prendersi cura della figlia, ma non ce la fa più e sta valutando di sottoporsi al Maid. Gli aiuti statali e l’assistenza sanitaria non coprono le cure essenziali per la disabilità e il dolore che, a volte, non le consente di mangiare, dormire, muoversi o giocare con la figlia. Anche lei si ritrova a sbattere contro un muro di gomma che le rende più facile chiedere l’eutanasia che ricevere le cure: «Voglio disperatamente stare con mia figlia […] Questa è eugenetica, perché non sono disposti ad assisterci in maniera adeguata e a farci stare bene. E se non hai dei familiari che si prendano cura di te, la risposta che ti danno è: “Per favore, vattene e muori”». 

 

«Mi ha ucciso il Sistema, non la Sla»

A Sathya Dhara Kovac, una donna di 44 anni di Manitoba, affetta da Sla, era stato offerto il trasferimento al Riverview Health Centre, un ospedale in cui avrebbe ricevuto assistenza 24 ore su 24, ma lei aveva preferito rimanere a casa sua perché conosceva altri malati di Sla che subito dopo essersi trasferiti lì erano morti. Dopo anni di tentativi falliti per ottenere più sostegno a domicilio per i suoi bisogni di base, l’esasperazione ha preso il sopravvento e ha chiesto l’eutanasia. Sathya è stata eutanasizzata a ottobre 2022. Aveva sì una patologia neurodegenerativa, ma non era in stadio avanzato e avrebbe potuto vivere una buona vita ancora per diversi anni. Un necrologio pubblicato dopo la sua morte, recitava: «Alla fine non è stata una malattia genetica a portarmi via, ma il Sistema. C’è bisogno di un profondo cambiamento. È questa la malattia che causa tanta sofferenza. Le persone vulnerabili hanno bisogno di aiuto per continuare a vivere. Avrei potuto avere più tempo se mi avessero aiutata di più». 

 

Il “fine vita” arriva a 65 anni

Fino a poco tempo fa Les Landry, di Medicine Hat (Alberta), era in grado di vivere dignitosamente nonostante la disabilità, che lo costringe in sedia a rotelle, e altre patologie che l’affliggono tra cui l’epilessia e il diabete. Tutto è improvvisamente cambiato quando ha compiuto 65 anni, dopo i quali si è visto togliere tutti i sussidi di invalidità e assegnare solo quelli per gli anziani. Questi ultimi sono decisamente inferiori e, perciò, insufficienti a coprire le sue spese primarie che includono il trasporto sanitario, la copertura delle ricette e l’indennità per il cane da assistenza. Presto a questo problema se ne aggiungerà un altro: gli aumenterà l’affitto di casa e lui, non avendo entrate sufficienti, rischia di diventare un senzatetto. 

Le difficoltà economiche, la riduzione della qualità di vita, il dolore cronico che lo affligge e la prospettiva di diventare presto un “barbone” lo hanno spinto a chiedere il suicidio assistito per il quale ha già ricevuto il via libera da parte di un medico, nonostante costui sappia che la richiesta di Landry è scaturita dai problemi economici e non di salute. In un’intervista al Bridge City News, Landry ha dichiarato: «Se proprio devo ricorrere al suicidio assistito, voglio almeno che il mondo sappia quanto sia grave questa situazione […] Non immaginavo che la vita finisse quando compi 65 anni».

 

Eutanasia per disperazione

Nonostante conviva con la tetraplegia fin da quando era giovane, Jacques Comeau, 66 anni, di Lachine (Quebec), non pensava affatto al Maid fino al momento in cui il Clsc Dorval-Lachine - un ente pubblico che fornisce servizi sanitari - non gli ha sostituito tutti gli addetti all’assistenza domiciliare. Prima di allora erano sempre gli stessi 15 assistenti che si alternavano aiutandolo, tre volte a settimana, a liberare l’intestino; mentre ora, con i nuovi addetti, deve affrontare disagio e molto dolore perché nessuno di loro sa eseguire la delicata procedura in maniera corretta. 

Comeau pensava che il problema sarebbe stato facilmente risolto facendo addestrare i nuovi da uno dei precedenti assistenti, ma il Clsc si è rifiutato di farlo. «Sono stressato all’inverosimile, faccio fatica a dormire, non mangio con regolarità - afferma Comeau. Il problema più grande è che mi alzo la mattina e non so chi verrà e come andrà. Così sono costantemente in ansia per quello che potrà succedere». «La sofferenza che sto affrontando a livello psicologico - spiega Comeau - è un tipo di dolore che fino a oggi non avevo mai provato. Sono diventato disabile da giovane e l’ho superato, ma questo è dieci volte peggio». Il 29 settembre 2022, esasperato, ha chiesto l’eutanasia. 

Il dottor Paul Saba, medico di famiglia e presidente del Consiglio dei medici dell’ospedale di Lachine, ha dichiarato: «Ci stiamo in pratica sbarazzando delle persone che riteniamo “indesiderate” e la società sta assecondando questa tendenza. Dobbiamo dire “basta”».

Quello di Rosie Ashcraft è un altro caso di richiesta di Maid per esasperazione. Dopo un lungo calvario tra diagnosi e cure sbagliate le è stata diagnosticata la sindrome di Ehlers Danlos (Eds), una patologia ereditaria che comporta problemi a pelle, articolazioni e vasi sanguigni; le richiede l’assunzione di undici farmaci, inclusi potenti antidolorifici, e l’impiego di un drenaggio toracico per i fluidi. Ashcraft avrebbe bisogno di una protesi per i dischi instabili del collo che le provocano dolori lancinanti e la obbligano a muoversi in sedia a rotelle. È consapevole che la protesi non curerà l’Eds, ma è certa del fatto che l’aiuterà a vivere meglio: «L’intervento potrà ridurre il dolore e aumentare la mia sicurezza perché è pericoloso avere la parte superiore del collo instabile».

Il problema è che sono ormai quattro anni che attende una visita con un neurochirurgo e finora non è riuscita a ottenere nemmeno un appuntamento. Ha anche provato a raccogliere la somma per l’intervento (oltre 100.000 dollari) da sola, ma non ce l’ha fatta; finché, scoraggiata, non ha iniziato a pensare che la morte per Maid sia l’ultima cosa che le rimanga da fare. «Soffro e basta. Questo non è vivere. Il dolore cronico è atroce - ha dichiarato a Ctv News. Non voglio che la mia famiglia mi veda soffrire così all’infinito. La decisione di morire ancora un po’ mi spaventa, ma quello che mi crea più sgomento è che sta iniziando a non farmi più paura».

 

Veterani invitati a… morire

La Veterans Affairs Canada (Vac) è un’agenzia governativa che dovrebbe occuparsi di fornire sostegno ai veterani e alle loro famiglie tramite servizi di salute fisica e mentale, sostegni al reddito, aiuto nelle situazioni abitative, ecc., finché l’anno scorso non si è scoperto che tra gli aiuti erogati era stato inserito, non richiesto, quello a farsi uccidere con il Maid. 

La stampa ha raccontato il caso di Christine Gauthier, caporale in pensione e paralimpica, la quale, dopo cinque anni in cui ha ripetutamente chiesto un montascale per disabili, si è vista recapitare una lettera dalla Vac in cui invece del dispositivo per carrozzine le offrivano il Maid, assicurandole «di farsene personalmente carico». «Ho dovuto affrontare anche questo, ho una lettera che mi dice che se è così disperata, signora, le possiamo offrire l’aiuto medico alla morte», ha rivelato Gauthier.

In seguito si è scoperto che il suo non era un caso isolato e che almeno altri cinque veterani avevano ricevuto la stessa proposta. Tra questi quello di un soldato canadese, rimasto anonimo, che a luglio 2022 aveva chiesto alla Vac aiuto per curare un trauma cranico e un disturbo da stress post-traumatico (Ptsd), ricevendo appunto come risposta l’offerta per il Maid. I giornali scrivono che la proposta ha lasciato il veterano e la sua famiglia disgustati, che si sono sentiti traditi da chi li dovrebbe aiutare e che l’uomo aveva riportato dei miglioramenti prima che l’offerta di eutanasia peggiorasse nuovamente la sua salute psicofisica, vanificando tutti i progressi che aveva fatto.

Il sergente Tobias Miller, ferito durante il conflitto in Afghanistan, osserva che i veterani con lesioni cerebrali e Ptsd hanno spesso pensieri suicidi e che pertanto l’offerta di Maid può essere loro fatale: «Ti ritrovi già ogni giorno a combattere con la mente che ti suggerisce cose che non dovresti sentire. Mi chiedo come un’agenzia, il cui unico compito è quello di prendersi cura di noi e aiutarci a guarire, possa intromettersi e… fare una proposta che potrebbe indurre i veterani a farsi del male».

 

Eutanasia per isolamento

La dott.ssa Ramona Coelho, medico di famiglia a London (Ontario), ha reso noto uno sconcertante caso di eutanasia avvenuto nel Paese che ha per protagonista un uomo ricoverato in ospedale a causa di un piccolo ictus che gli aveva provvisoriamente compromesso equilibrio e deglutizione. Nonostante il neurologo avesse stabilito che si sarebbe ripreso, riuscendo di nuovo a mangiare e a recuperare quasi del tutto l’equilibrio, l’uomo ha chiesto il Maid a causa della depressione e della condizione di isolamento in cui si era venuto a trovare dopo lo scoppio di un’epidemia di Covid nel suo reparto. Coelho racconta che i medici che hanno esaminato la richiesta non avevano alcuna esperienza nel recupero da ictus e, poiché in quel momento il paziente stava mangiando poco, hanno stabilito che poteva morire subito, senza attendere i 90 giorni richiesti per legge nei casi non terminali come il suo. La settimana dopo l’uomo è stato ucciso: «È morto solo e depresso - afferma Coelho - prima di poter intraprendere una terapia adeguata e ottenere i miglioramenti di salute».

 

Eutanasia per una diagnosi sbagliata

Un altro caso - raccontato sempre da Coelho - riguarda un vedovo di 71 anni ricoverato in ospedale a causa di una caduta. Durante il ricovero aveva contratto una malattia diarroica, che gli aveva procurato lo stigma del personale sanitario per effetto del cattivo odore presente nella sua stanza, e aveva sviluppato un’insufficienza respiratoria. I medici gli dissero che era dovuta a una Bpco (broncopneumopatia cronica ostruttiva) in fase terminale e che, perciò, era idoneo a chiedere il Maid. Due giorni dopo la prima valutazione è stato eutanasizzato, ma dall’autopsia è poi emerso che non aveva alcuna Bpco terminale, come confermato anche dal suo medico di famiglia che al momento della valutazione del paziente non era stato nemmeno consultato. 

Coelho si pone alcune domande significative: «L’ospedale ha proposto il Maid perché il ricovero stava durando troppo, perché la sua stanza aveva un cattivo odore o perché è stato vittima di ageismo [discriminazione nei confronti degli anziani, NdR]?»; il paziente «ha scelto la morte perché il personale l’ha fatto sentire ripugnante o perché è stato vittima di una diagnosi errata?». «La legge canadese non contempla alcuna salvaguardia a protezione delle persone emarginate come le vittime di ageismo, razzismo e abilismo [discriminazione nei confronti dei disabili, NdR]», conclude Coelho.

 

Una madre contro il Sistema

In questo panorama desolante, spicca per la sua conclusione positiva la storia di una madre di Toronto, Margaret Marsilla, che ha lottato con tutte le forze per salvare il figlio Kiano, di 23 anni, dal suicidio assistito che lui stesso aveva richiesto, non perché malato terminale, ma a causa della depressione. 

Marsilla ha raccontato che Kiano ha il diabete di “tipo 1” dall’età di quattro anni; ha una visione parziale da un occhio e, recentemente, ha perso la vista dall’altro occhio; ha, inoltre, problemi di tossicodipendenza che sono peggiorati da quando gli è stata prescritta la marijuana “terapeutica”, dopo le lesioni riportate in un incidente stradale avvenuto anni prima. 

Senza dire niente a nessuno, l’8 agosto 2022 Kiano ha chiesto il Maid; il successivo 7 settembre il dottor Joshua Tepper l’ha approvato e il 28 settembre gliel’avrebbe dovuto praticare, se la madre non avesse nel frattempo sollevato un tale polverone che alla fine Tepper, spaventato, ha fatto marcia indietro. «È da non credere, il medico gli ha letteralmente messo in mano la pistola per uccidersi!», ha dichiarato Marsilla.

Per salvare il figlio dall’eutanasia, la donna ha scritto al ministro della Sanità dell’Ontario, chiedendogli di intervenire per fermare la procedura; ha rilasciato interviste ovunque in modo da sensibilizzare l’opinione pubblica sulla facilità con cui persone come suo figlio, depresse e con la capacità mentale compromessa, ricevano l’autorizzazione per farsi uccidere; ha assunto un avvocato per intraprendere un’azione legale contro il medico che ha dato il via libera, nella speranza di creare così un precedente e per «poter dormire tranquilla la notte sapendo che nessuno toccherà mio figlio». «Sarà una grande battaglia - avverte Marsilla. Non ho nessuna intenzione di rinunciarvi […] Mio figlio sarebbe morto senza l’aiuto e le pressioni che abbiamo fatto».

Come si può vedere da quando il Canada ha introdotto il Mail, la morte assistita sta diventando la soluzione per qualsiasi forma di sofferenza e sono sempre di più ogni anno le persone vulnerabili (malati, disabili, indigenti, soli, depressi, esasperati) che la chiedono perché il Sistema, abbandonandoti al tuo destino, ti spinge in quella direzione. 

Persino il Toronto Star, il quotidiano liberale più famoso del Paese, solitamente favorevole alle pratiche eutanasiche, ha definito questa tendenza «darwinismo sociale in stile Hunger Games» e ha scritto che «il Canada si sta spingendo troppo oltre con il Maid», che «il rischio di abusi è sempre più evidente» e che «bisogna porre un freno all’espansione dell’eutanasia». Cosa praticamente impossibile da fare una volta che si è superato il principio secondo cui la vita è un bene indisponibile e non è mai lecito uccidere l’innocente. 

La realtà dimostra infatti che i famosi “paletti” - invocati dagli ingenui o da chi è in malafede - non impediscono la deriva eutanasica. Per porvi un freno vi è solo un modo: non legalizzarla in nessun caso e proibirla per legge, perché - come scriveva il compianto Mario Palmaro: «Per quanto grande e robusta possa essere una diga se in quel cemento armato si apre un piccolo forellino, e l’acqua comincia a passarci attraverso, è solo questione di tempo, e prima o poi la diga viene giù tutta quanta». 

 

Articolo a firma di Lorenza Perfori già pubblicato sulla Rivista Notizie Pro Vita & Famiglia n. 120 - Luglio/Agosto 2023

 

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