Nel dibattito sul fine vita, sono pochi quelli che vi mettono al corrente che la legalizzazione dell’eutanasia, o del suicidio assistito, (omicidio / suicidio medicalizzato) diviene presto occasione per la predazione di organi del morente.
Perché parliamo di “predazione” e non di “donazione” di organi
Già: tutti dicono “donazione”, ma noi diciamo “predazione”: chi chiede di morire, non esercita una libera scelta – come vuole la propaganda. O sta in perfetta salute e immagina un’eventuale ipotetica situazione di sofferenza e col biotestamento chiede oggi una cosa che nel momento topico potrebbe non volere più – e se non è in grado di comunicarlo viene ucciso contro la sua volontà; oppure in una situazione attuale di dolore e disabilità chiede di morire per la depressione e la disperazione (che andrebbero e potrebbero essere curate): nella morte non c’è mai libertà! Di conseguenza anche la libertà della donazione di organi è inficiata alla radice. Anzi: il depresso che dice “che campo a fare” viene ulteriormente spinto verso la morte con l’idea che lui – essere inutile – può servire a qualcosa o a qualcuno donando un rene...
Il dibattito sul fine vita e la predazione di organi: dall’allarmismo, alla buona prassi, alla diffusione capillare
Wesley J. Smith, avvocato e bioeticista, su Human Exeptionalism lo denuncia da tempo. Ma è stato puntualmente accusato di eccessivo allarmismo.
Poi è successo. In Belgio i medici tolgono la vita ai disabili e ai malati di mente e, con il loro “consenso”, prelevano gli organi sani. Idem, nei Paesi Bassi.
Dopo che la prassi si è instaurata, gli stessi detrattori che lo accusavano di allarmismo hanno cambiato atteggiamento: hanno cominciato ad applaudire la “buona prassi” della “donazione” di organi contestuale all’eutanasia o al suicidio assistito in nome della solita “autodeterminazione”, “libera volontà” del paziente morituro, che decide lui se morire, se donare e -in fondo – è giusto che la società tragga beneficio,se può, dalla morte volontaria di uno (“si salvano tante vite” con gli organi donati...).
Presto quindi avremo persone tristi e stanche di vivere (anziani, disabili, malati) che saranno deputati al ruolo di “deposito di pezzi di ricambio”.
Ora è la volta del Canada: stesso copione. Il prelievo di organi da persone che chiedono il suicidio assistito e da quelli a cui è praticata l’eutanasia (non sempre tanto volontariamente, però!) sta diventando una prassi consolidata.
Smith riporta un articolo della CBC. Leggete attentamente: vi sono alcune dichiarazioni del dottor Robertson che sono a dir poco agghiaccianti.
Quali sono le preoccupazioni etiche e logistiche nel prelevare organi a chi chiede che gli si tolga la vita?
«Il sistema sanitario sta studiando questioni logistiche e preoccupazioni etiche che non sorgono quando i donatori di organi non sono MAID [acronimo per “assistenza medica nella morte”, che la neolingua canadese usa per eutanasia, per iniezione letale, NdA].
Il primo problema è che il processo che conduce alla morte diventa più medicalizzato. I pazienti che vogliono donare gli organi devono sottoporsi a test medici a volte scomodi e invasivi per vedere se i loro tessuti e organi sono adatti al trapianto.
Secondo poi, chi vuole donare i propri organi, deve farsi eutanasizzare in un ospedale per i trapianti, vicino a una sala operatoria».
«La bellezza di morire: quelle belle e divertenti ultime ore di vita...»
E allora il dott. Adrian Robertson, direttore medico del programma Transplant Manitoba’s Gift of Life si preoccupa: «Stiamo cercando di ridurre l’impatto della donazione di organi nelle ultime ore della vita del paziente. Vogliamo che [il tempo prima dell’eutanasia, NDT] sia un’occasione per potersi divertire [!] con amici e familiari per lasciare a tutti bei ricordi, non da passare in un ospedale». Infatti, «La maggior parte dei pazienti preferirebbe morire a casa», dice Robertson. «Quindi se [oltre a farsi ammazzare] dona gli organi c’è un onere aggiuntivo per il paziente. Bisogna spiegarglielo, e in qualche modo significa che per la sua intenzione a donare deve essere disposto a rinunciare a parte della bellezza dell’assistenza medica nel morire».
Per di più, chi si vuole far ammazzare, ma vuole anche “donare” organi, dovrà rinunciare a bere alcol e consumare droghe ricreative, durante la suddetta “festa d’addio”. Un grosso sacrificio davvero.
Dopo Belgio , Olanda e Canada toccherà anche all’Italia?
Intanto, da noi con un bel biotestamento si può obbligare il medico a toglierci la vita privandoci di cibo e acqua e contestualmente si può disporre la “donazione” di organi: arrivati a un certo punto, miei cari Lettori, dobbiamo capirlo: siamo più utili da morti che da vivi. Sarà bene quindi toglierci di mezzo.
Intanto, il dott. Viale, a Torino ha già organizzato un corso per dare ai nostri medici “lezioni di eutanasia” ( i maestri – manco a dirlo – vengono dal Belgio e dall’Olanda): un corso di specializzazione per boia, insomma.
Intanto, Paolo Gulisano su La Nuova Bussola Quotidiana ci avverte che le case farmaceutiche e la ricerca scientifica si apprestano a dirottare le risorse destinate alla ricerca sulle malattie degenerative (tipo Parkinson e Alzheimer) ad altri settori più redditizi (tanto per i vecchietti c’è l’eutanasia!).
Intanto – insomma – la morte avanza. Ma in modo “democratico”, e ammantato di “libertà e diritti civili”. Meglio la Cina (vedere foto): lo fa di nascosto; in fondo, se ne vergogna.
per un’informazione veritiera sulle conseguenze fisiche e psichiche dell’ aborto