Umberto Veronesi fu per tutto l’arco della sua vita un paladino dell’eutanasia. Ora, a quasi tre anni dalla sua scomparsa, un articolo de Il Messagero Veneto dello scorso 6 ottobre (che riportiamo integralmente qui in basso), riferisce di alcune dichiarazioni che sembrerebbero provare un ripensamento proprio di Veronesi in tema di fine vita.
«Sono ancora più convinto che, per non arrivare all’eutanasia, passiva o attiva che sia, c’è un fondamentale obiettivo da raggiungere: prevenire il desiderio di morte facendo il possibile perché il malato, in particolare il malato terminale, non arrivi a un tale stato di sofferenza. Se è curato bene, difficilmente il paziente chiede di morire. Se è curato con affetto, con amore, senza dolore, non chiederà la buona morte».
Sarebbero queste, infatti, le parole scritte da Umberto Veronesi nell’ultimo periodo della sua vita e che il Messagero Veneto attribuisce all’oncologo milanese per mezzo di alcune dichiarazioni della dottoressa Sylvie Ménard, anch’essa oncologa e allieva del professor Veronesi.
Nelle parole di Umberto Veronesi non si legge un rifiuto dell’eutanasia, questo è vero; però si sottolinea come prima e prioritaria scelta quella di stare accanto al paziente e soprattutto di non praticare l’eutanasia senza la richiesta del malato. Un netto rifiuto, dunque, di tutte quelle azioni di fine-vita che, oggi, in alcuni Paesi soprattutto europei, porterebbero al suicidio assistito o all’eutanasia anche senza una esplicita volontà della persona malata, in particolare in casi di assoluta incoscienza. Quanto sarebbe stato scritto da Veronesi, inoltre, pone l’accento sulla cura del paziente e quindi andrebbe a fugare ogni dubbio sul fatto che, «con affetto e con amore» nessuno chiederebbe mai di farla finita.