Nell'ultimo episodio del medical drama "New Amsterdam", vediamo la scena di un colloquio medico paziente, quello che dovrebbe costituire la prima parte della cura, quello in cui il medico dà inizio al suo nobile compito di salvare le vite, tra una oncologa e una donna malata di cancro. Nel dialogo, la dottoressa ha chiesto alla paziente se secondo lei la sua vita avesse senso. La paziente disse che ciò che più la tormentava era l'assenza di controllo sulla propria vita. Così l'oncologa, invece di consolarla e di darle sproni per vivere, continuò a insistere con un dialogo che, di fatto, assecondava lo stato di depressione della paziente, finché quest'ultima non arrivò ad affermare che la sua vita aveva perso di significato. Fu allora che la dottoressa tirò fuori degli antidolorifici, spiegando alla donna che, se assunti in dose massiccia, avrebbero ostacolato la respirazione e indotto la morte. Poi uscì dalla stanza, lasciando la paziente con davanti a sé la confezione di medicinali e dicendo: «Questa è la tua scelta, di nessun altro. Hai il controllo». Il fatto che la paziente abbia, poi, abbandonato la struttura, lascia intendere che, dopo aver preso la confezione di antidolorifici, sia andata altrove a suicidarsi. E quella della dottoressa sarebbe "compassione"? Una paziente oncologica in preda alle sofferenze, e quindi comprensibilmente vulnerabile, se "aiutata" (direi, piuttosto, "spinta") in questo modo al suicidio, è davvero libera di farsi fuori? Perché non le è stato fornito tutto l'aiuto necessario per darle modo di vivere meglio la propria condizione? Non c'è dubbio che eutanasia e suicidio assistito, se legalizzati, renderebbero giornalieri episodi del genere e condurrebbero ad una vera e propria strage di sofferenti.
Fonte: Life News
di Luca Scalise