Il dottor Bert Keizer, filosofo e geriatra, ora lavora per Expertisecentrum Euthanasie , il nuovo nome della clinica Levenseindekliniek (clinica per la fine della vita) olandese. È un eutanasista convinto e convintamente spiega come sia un progresso il dilagare della cultura della morte. «Ogni limite che poniamo, c'è la possibilità di superarlo», scrive.
E fa l'esempio dell'aborto: prima era vietato, poi ammesso fino a 12 settimane e ora anche fino a 20 settimanee oltre.
Qualcosa di simile è attualmente in corso nel campo della ricerca sugli embrioni umani, dove si osa sempre di più.
Stessa cosa con l'eutanasia: «Ogni volta che veniva tracciata una linea, veniva presto scavalcata». Prima per i malati terminali, poi anche i malati cronici, poi le persone con demenza incipiente, i pazienti psichiatrici, le persone con demenza avanzata; poi gli anziani che hanno troppi disturbi della vecchiaia e infine gli anziani che, sebbene non soffrano di una malattia disabilitante o limitante, trovano che la loro vita non ha più senso. «È vero: ora forniamo l'eutanasia a persone alle quali avevamo detto, un po' 'indignati, 20 anni fa,' Dai, è davvero impossibile '». E guardando al futuro, dice che non c'è motivo di credere che questo processo si fermerà: per gli incapaci, i prigionieri condannati all'ergastolo, i bambini disabili. «Non credo che siamo su un pendio scivoloso, nel senso che ci stiamo dirigendo verso il disastro. Piuttosto, è un cambiamento che non è catastrofico, ma richiede che continuiamo a essere coinvolti come comunità».
Insomma, questo è il "progresso".